Gennaio 29, 2024

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“Se le tue azioni ispirano gli altri a sognare di più, imparare di più, fare di più e diventare di più, sei un leader.”

Parto con la citazione di John Quincy Adams per evidenziare da subito l’obiettivo con cui scelgo di ospitare Professionisti: condividere la loro esperienza, fonte di ispirazione, di valore per chi cerca stimoli per apprendere, sognare e fare di più. Coinvolgo persone che ritengo essere leader di se stesse prima di tutto, ovvero chi fa accadere le cose, a partire dal proprio successo (che per me è il raggiungimento dei propri obiettivi professionali, ben definiti) e che non aspetta l’opportunità ma la costruisce.

Per questa nuova intervista ho pensato di coinvolgere Roberto Battaglia, da settembre 2022 Chief Operating Officer della Fondazione AIRC

 

Roberto Battaglia: si può essere “Startupper in azienda”

Ciao Roberto, hai maturato una significativa esperienza nel campo del Personale, dell’Organizzazione e dell’Innovazione in diverse aziende bancarie. Fra le ultime tappe della tua carriera professionale hai guidato la Direzione del Personale della Divisione IMI Corporate & Investment Banking di Intesa Sanpaolo e, nell’ambito della stessa azienda, la Formazione di Gruppo e lo Sviluppo dell’Innovazione nell’ambito dell’Innovation Center. Nel 2021 hai pubblicato il libro «Startupper in azienda. Liberare il potenziale imprenditoriale nascosto nelle organizzazioni». Un libro-manifesto e una guida per aiutare le aziende a far emergere le capacità di cui dispongono e ispirare le persone a prendere l’iniziativa per cambiare il loro destino professionale insieme a quello delle imprese per cui lavorano. Cosa puoi dirci in più su di te?

Quella che hai descritto in sintesi è una parte rilevante della mia storia professionale. Riguarda la lunga e ricca esperienza che ho vissuto nel settore finanziario. A questa importante parte della mia vita si è aggiunta una seconda tappa su cui da tempo mi stavo interrogando: come avrei potuto condividere parte della mia fortuna professionale verso un mondo, il Terzo Settore, che svolge un compito cruciale nel nostro Paese ma che spesso non ha i mezzi (per dimensione e specializzazione) per svilupparsi. Due anni fa ho avuto l’opportunità di conoscere AIRC e ho deciso dedicare l’ultima parte della mia carriera a occuparmi di questo. Sono felice di questa scelta che mi consente non solo di mettere a fattor comune cose che ho imparato, ma soprattutto di apprendere da persone con estrazioni, storie e qualità umane che quotidianamente mi arricchiscono.

Se ti dovessi presentare con un’immagine metaforica, quale sceglieresti e perché?

Scelgo l’immagine del giardiniere che nutre e cura un ambiente in cui le piante (le idee) possono essere coltivate da nuovi nutrienti e nuove connessioni. Che impara quando introdurre nuove piante e quando raccogliere i frutti del suo pensiero. Che comprende l’importanza del tempo e dell’ambiente per la crescita di nuove piante. Che cerca di allargare gli orizzonti del proprio campo di studio. Che non lavora da solo, ma è sostenuto da una comunità che condivide le sue scoperte.

Da bambino che lavoro sognavi di fare e vedi, e se sì quali, associazioni tra il sogno e ciò che hai fatto realmente?

Non ho mai pensato a un mestiere in particolare o a una precisa strada da intraprendere. Ho piuttosto cercato di creare condizioni per comprendere meglio quale direzione avrei imboccato. E questo mi ha consentito di intraprendere esperienze, solo apparentemente governate dal caso, che mi hanno fatto diventare ciò che sono. Queste condizioni sono da sempre alimentate da spirito di esplorazione e ricerca di nuove connessioni.

Si parla tanto di errori e fallimenti. C’è anche tanta retorica. Tu cosa ne pensi?

La mitologia californiana e startuppara delle lezioni apprese dai fallimenti sconta effettivamente il rischio di una deriva retorica, ma porta con sé un messaggio prezioso che nel nostro mondo è condizionato da fattori culturali difficili da scalfire. Solo chi non osa non sbaglia  diceva Henry Ford e credo che questo debba farci riflettere. La cultura delle aziende spesso è pervasa dalla ricerca dell’autorizzazione preventiva e dalla mancanza di iniziativa per evitare di sbagliare. Con le dovute precauzioni rimango dell’idea che sia sempre meglio chiedere perdono che chiedere permesso.

 

La tesi alla base del tuo libro “Startupper in azienda” è che si può essere imprenditori fra le mura aziendali. Come?

L’esperienza concreta illustrata nel libro e il metodo che è alla sua base intendono dimostrare questa possibilità sulla base di alcuni presupposti:

  • Aziende disposte a creare e rendere disponibili quelli che io chiamo “spazi di espressione”. Una sorta di cornice dentro la quale consentire liberamente alle persone di “innamorarsi di problemi promettenti” e sperimentare possibili soluzioni che diventino solidi progetti da farsi finanziare
  • Persone pronte a occupare questi spazi con impegno e coraggio senza timore di essere giudicate
  • Pochi ma chiari meccanismi per gestire questi spazi e una cassetta degli attrezzi per trasformare problemi e sfide in soluzioni concrete.

 

Nel libro citi tra i vari Davide Weinberger e specificatamente “La stanza intelligente”, dove afferma che quando la conoscenza entra a far parte di una rete, la persona più intelligente della stanza non è la persona che tiene la lezione né la saggezza collettiva delle persone presenti ma la persona più intelligente è la stanza stessa cioè la rete che unisce persone e idee presenti e le collega con quella all’esterno. Qual è il tuo pensiero al riguardo?

Concordo pienamente con l’idea di Weinberger. In un mondo sempre più connesso e interconnesso, la conoscenza non è più il dominio esclusivo di singoli individui o istituzioni. La conoscenza è diventata un prodotto collettivo, un risultato della connessione e della collaborazione tra individui, idee e informazioni. La “stanza”, o la rete, diventa la persona più intelligente perché è in grado di sintetizzare e armonizzare queste diverse fonti di conoscenza. In questo modo, la rete può produrre nuove idee e intuizioni che vanno oltre la somma delle sue parti individuali.

 

Qual è o quali sono a tuo avviso le competenze che oggi un professionista deve avere e/o mantenere allenate per continuare ad essere spendibile nel mercato del lavoro?

Viviamo in un mondo talmente imprevedibile che al primo posto non può che esserci la capacità di adattarsi e imparare continuamente. Aggiungo quelle competenze trasversali, come l’apertura mentale, il pensiero critico e la capacità di affrontare i problemi da prospettive differenti che aiutano ad orientarsi nella complessità che viviamo. Infine la costante attenzione a esplorare il digitale come complemento e amplificatore delle competenze che ho citato.

Ai giovani che stanno entrando nel mondo del lavoro ora, invece, che consigli ti sentiresti di dare?

Due consigli: mettetevi a dieta e fate movimento.
Mettetevi a dieta nel senso di selezionare bene il “cibo per la mente” da assumere. Alimentate la curiosità, Leggete cose diverse, lasciatevi sorprendere, frequentate anche persone fuori dal vostro giro abituale. E poi fatevi periodicamente la domanda: “quand’è l’ultima volta che ho fatto qualcosa per la prima volta?”
Fate movimento e cioè prendete l’iniziativa e assumetevi il rischio di fare qualcosa di non previsto. Non limitatevi al pezzo di carta e a inviare cv, ma accumulate esperienze e provate a proporle in modi nuovi agendo in modo imprenditoriale anche per trovarvi un lavoro.

Hai avuto uno o più Mentor nel tuo percorso e, se sì, vuoi dirci chi sono e cosa ti hanno ispirato a fare meglio o diversamente?

Non ho mai avuto Mentor nel senso letterale del termine, ma ho imparato un sacco di cose interagendo con alcuni dei capi con cui ho lavorato e tante persone autorevoli capaci di esprimere una leadership naturale pur senza avere l’autorità per esercitarla. Devo molto a tutte queste persone verso le quali mi sono sempre fatto una domanda di fronte a situazioni nuove o particolarmente complesse: “se io fossi al suo posto come affronterei quella situazione e cosa deciderei?”. Grazie a loro ho imparato a sentirmi “sufficientemente inadeguato” anche quando si gioca nella massima serie e a “non comprare la popolarità a spese dell’azienda” ma a metterci sempre la faccia assumendomi la responsabilità delle mie scelte.

Ti chiedo di salutarci con il tuo motto preferito

Permettimi un’autocitazione che evoca in chi l’ascolta sentimenti contrapposti: l’innovazione è spesso una disobbedienza andata a buon fine.

– ph. credits by Roberto Battaglia –
– Foto di Markus Spiske su Unsplash

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