“Se le tue azioni ispirano gli altri a sognare di più, imparare di più, fare di più e diventare di più, sei un leader.”
Parto con la citazione di John Quincy Adams per evidenziare da subito l’obiettivo con cui scelgo di ospitare Professionisti: condividere la loro esperienza, fonte di ispirazione, di valore per chi cerca stimoli per apprendere, sognare e fare di più. Coinvolgo persone che ritengo essere leader di se stesse prima di tutto, ovvero chi fa accadere le cose, a partire dal proprio successo (che per me è il raggiungimento dei propri obiettivi professionali, ben definiti) e che non aspetta l’opportunità ma la costruisce.
Per questa nuova intervista ho pensato di coinvolgere Luciana De Laurentiis, Head of Corporate Culture & Inclusion di Fastweb, Coach & Mentor
Ciao Luciana, cercandoti in rete possiamo sapere che sei appassionata di parole e persone. Coach, Formatore, oggi Head of Corporate Culture & Inclusion in Fastweb, ami creare connessioni tra idee, progetti e persone. Sei esperta di comunicazione, comportamenti organizzativi efficaci. Cosa puoi aggiungere con un tweet e con un’immagine metaforica per raccontarci qualcosa in più di te?
Aggiungo che sono mossa dalla curiosità. Mi incuriosiscono le persone e le parole. E allora ci ho costruito sopra un mestiere😊
Ti propongo un piccolo esercizio: disegnare la mappa dei puntini che ti hanno portato a ricoprire il ruolo di oggi, evidenziando le tappe centrali, considerando anche gli studi.
Sono nata tra la campagna e il mare, in quegli anni ’60 che facevano sembrare tutto possibile. Ho avuto da sempre la voglia di esplorare il mondo, di viaggiare, di conoscere persone, posti, lingue nuove. Ho studiato le lingue, ho frequentato corsi all’estero nei primi anni ’80 quando ancora non era così usuale, all’Università mi ero dedicata agli studi di economia e gestione dei servizi turistici, perché l’Adriatico era all’epoca la meta di tutto il Nord Europa e per alcuni anni ho lavorato proprio in quell’ambito.
Mi sono poi trasferita in Lombardia per amore e ho così cambiato vita, città, ambiente, lavoro. Nasceva in quegli anni in Italia una nuova realtà nelle Telecomunicazioni: Omnitel e il primo giorno di ingresso in quella nuova realtà ho incrociato la “formazione”. Mi sono innamorata di quella professione e in un percorso di crescita interna e di sviluppo di competenze specifiche, sono arrivata a ricoprire quel ruolo prima in Omnitel – Vodafone e poi in Fastweb. Nel frattempo ho seguito corsi e master di specializzazione in vari ambiti, dal People Management, alla Programmazione Nurolinguistica, dall’Analisi Transazionale al business writing fino al corporate coaching. Da diversi anni ho iniziato a occuparmi di Comunicazione Interna, Engagement e anche di Inclusion. La passione per le parole e per l’evoluzione del linguaggio mi ha portato ad approfondire anche i temi del Community Management, del Personal Branding e dell’ambassadorship necessaria alla brand reputation.
Come è nata la tua passione per la comunicazione?
Di fatto io adoro chiacchierare. E probabilmente questa passione per la comunicazione era già dentro di me quando, bambina, amavo ascoltare davanti al fuoco o sotto l’ombrellone i racconti di famiglia sentiti mille volte, ma sempre arricchiti da qualcosa di diverso a seconda di chi incominciava la narrazione.
Negli ultimi 25 anni ho poi lavorato nel mondo delle telecomunicazioni, proprio nell’epoca in cui le connessioni digitali abilitate dalle telecomunicazioni hanno trasformato anche il nostro stesso modo di comunicare.
La mia naturale curiosità verso le persone da sempre si anima attraverso le parole. Le uso anche al lavoro per coinvolgere, per creare community e senso di appartenenza, per stimolare senso di equità. La frontiera del linguaggio inclusivo ancora da trovare è ora nel mio radar per capire come poter contribuire all’evoluzione.
Ti sei tanto occupata di comunicazione interna e vorrei che condividessi il tuo punto di vista. Te lo chiedo esplicitando una provocazione che riscontro frequentemente: serve davvero una comunicazione interna nelle organizzazioni? Tra l’altro la nostra comune amica Annalisa Galardi, mi ha fatto riflettere su come sia importante sostituire il nome della “comunicazione interna” – superato – con “comunicazione organizzativa”. Tanti stimoli quindi, per conoscere la tua opinione
Certo che serve. Forse non è mai servita così tanto: in quest’epoca di lavoro ibrido, remotizzato, spesso isolato forzosamente come accaduto durante gli anni di pandemia, quale altra leva può far sentire le persone in connessione, può co-progettare nuovi modi di lavorare e sentirsi parte di uno stesso purpose strategico?.
Nella nostra funzione di Comunicazione Interna non ci siamo mai sentiti più utili di adesso. Quindi non solo non sono morte le Intranet, ma ancora la Comunicazione Interna è una leva più che mai strategica. Certo bisogna essere capaci di evolvere insieme al contesto.
Se in passato per Comunicazione interna si intendeva il complesso di attività della comunicazione aziendale in una rete interna di flussi informativi mirate a diffondere informazioni, saperi e conoscenze e a rendere chiari e condivisi gli obiettivi, oggi è necessario creare terreno fertile per un engagement e una condivisione che vadano in profondità.
Il tempo del digitale e anche quello della pandemia hanno accelerato la trasformazione e da essenziale strumento di circolazione delle informazioni, oggi la Comunicazione Interna ha a mio avviso la natura di una piattaforma di partecipazione, identificazione, strumento di diffusione di valori condivisi e di accompagnamento nel costante flusso di mutamento dei paradigmi organizzativi.
Concordo con Annalisa sul fatto che forse sia necessario anche un cambio di nomenclatura, a maggior ragione visto il confine sempre più sottile tra comunicazione interna ed esterna.
Non è forse un caso che nel mio job title si indichi “Corporate Culture”.
Comunque, a prescindere dal nome e anche dal posizionamento negli organigrammi (noi eravamo in HR, ma da tempo siamo nel team delle Relazioni Esterne), poiché amo i decaloghi condivido qui 10 trend della comunicazione interna a mio avviso destinati a durare.
Non posso non farti la domanda su quel bellissimo “reverse” manifesto di Fastweb che si è viralizzato a febbraio del 2020, data la sua genialità nella trasformazione del significato delle parole letto in sensi diversi. Riporto testualmente il contenuto:
“TUTTI I GIORNI
IN UFFICIO
SEDUTI
ALLO STESSO POSTO
COME È SEMPRE STATO
PERCHÉ A NOI NON PIACE
CAMBIARE PUNTO DI VISTA
PREFERIAMO
CONTINUARE COSÌ
E NON
SERVE ADOTTARE UN NUOVO MODELLO
PER LAVORARE MEGLIO”
Come è nato questo progetto e vi aspettavate così tanta risonanza in rete?
Il progetto di questo reverse poster di cui andiamo molto orgogliosi era nato durante la nostra campagna di avvicinamento a una nuova concezione di sede di lavoro, che eliminava già a partire dal 2019 uffici singoli, scrivanie assegnate e così via.
Ciò che cambiava non erano solo le nostre sedi, ma il mindset con cui abitarle ed animarle.
Alla progettazione partecipata insieme a tante colleghe e colleghi avevamo deciso di aggiungere una campagna di informazione e accompagnamento verso un concetto rovesciato di smart working che abbiamo infatti chiamato Working Smart(er) che si focalizzasse sul fatto che la vera rivoluzione di questo modo di lavorare è nel decidere dove lavorare in base agli obiettivi e alle attività da svolgere, il che è molto diverso dal semplice “lavorare da casa”. Si sceglie in quale luogo, o in quale sede, a quale piano, vicino a chi lavorare, proprio sulla base di ciò che è più utile allo scopo.
In questo rovesciamento, insieme a YAM con cui abbiamo collaborato per quella campagna, è nata l’idea del “reverse poster”, che veniva inserito negli scatoloni da riempire per il trasloco nella nuova sede. I nostri colleghi di Real Estate hanno poi avuto l’idea di appenderlo all’ingresso del nuovo HeadQuarter di Piazza Olivetti, inaugurato nel 2019. Evidentemente qualche visitatore ha notato l’affissione, l’ha fotografata e condivisa in rete… e da lì in un weekend di febbraio 2020, poco prima dell’arrivo della pandemia, il reverse poster è divenuto virale, tanto da guadagnare un articolo dedicato su Corriere.it. Ne siamo stati davvero orgogliosi!
Cito sempre una riflessione che ti ho ascoltata fare sull’importanza dei Brand Ambassador, sostenendo come “i media più credibili siano le proprie persone”. Ti va di dire qualcosa in più su questo?
Ci credo profondamente e non è certo una riflessione solo mia. Così come quando cerchiamo un albergo, a ragione o a torto, ci si fida di più di chi ci è già stato, rispetto a cosa l’hotel racconta su un sito, allo stesso modo è più facile che ci si fidi del racconto di chi lavora in un’organizzazione rispetto a quanto si rilevi sul sito di quell’azienda. Le persone che lavorano in un’organizzazione sono una leva reputazionale davvero preziosa e possono fare la differenza, nel bene e nel male. Ed è uno dei motivi per cui il confine tra comunicazione interna ed esterna è sempre più sfumato.
Il punto è quanto si è consapevoli di questo? Quanto si è attenti al racconto che dall’interno passa verso l’esterno? Anche questa consapevolezza va innescata tramite la Comunicazione Interna, che può fare molto nel diffondere cultura sulla brand reputation e il proprio ruolo decisivo in questo ambito.
Negli anni ti sei dedicata a diversi progetti di Mentoring. Cosa ti senti di consigliare, in modo più generico ovviamente, a chi vuole trovare o ritrovare la sua vocazione professionale?
Suggerisco di tenere viva la curiosità, la voglia di scoperta: di nuove direzioni, di nuove competenze da allenare, di nuove professioni da esplorare e per le quali prepararsi.
E di farlo affidandosi anche alle tante occasioni messe a disposizione da associazioni, da vari enti e perché no? anche tramite la nostra Fastweb Digital Academy, che offre gratuitamente molti corsi di natura varia e diversificata a chiunque abbia il desiderio di nuovi stimoli e competenze da allenare nel mondo del digitale e non solo.
Un altro tema che hai sicuramente a cuore è la leadership al femminile. Penso alla più recente iniziativa “HerEvolution” – “Storie di donne vere, che non hanno mai smesso di credere in loro stesse e che ci insegnano che c’è sempre tempo per diventare ciò che si vuole.” Come percepisci le organizzazioni in questo momento su questo: stiamo facendo passi avanti, indietro, o stiamo sempre allo stesso punto in termini di Diversity & Inclusion?
Tendo all’ottimismo e per esperienza ritengo che non si possa dire che siamo sempre allo stesso punto. Certo però c’è ancora tanto, tantissimo da fare, da conquistare, da rendere “consuetudine” e non fortuita opportunità. E non parliamo solo del tema donne, né necessariamente di donne e leadership. Sono più vicina alla visione dell’autore Fabrizio Acanfora, l’inclusion non va intesa come il far calare dall’alto qualcuno che magnanimamente decide di “includere” altre categorie di persone, va bensì diffusa una cultura inclusiva che sempre più favorisca la convivenza tra differenze.
E in questa convivenza che vanno sviluppate opportunità eque e disponibili davvero per chiunque voglia coglierle. La strada è ancora in salita, il mondo e quindi anche le organizzazioni non sono luoghi di equità perfetta, tuttavia anche osservare l’indignazione che si scatena quando si palesano iniquità e ingiustizie nel contesto anche sociale è già un segnale di un’evoluzione in corso.
E verso questa evoluzione e diffusione di cultura dell’equità mi impegno anche a livello personale all’interno di un’associazione nata da poco: EquALL
Nella tua presentazione è esplicitato che ami creare connessioni e si potrebbe quasi intuire la tua visione di Networking. Hai una storia particolarmente interessante che dimostra il valore di fare rete?
Il networking è la base di un arricchimento che spesso comincia a livello personale e prosegue poi in tempi e modi anche inaspettati nell’ambito professionale.
Anche la nostra stessa conoscenza, avvenuta nell’intento di promuovere uno dei tuoi libri, si è poi nel tempo sviluppata in tante modalità diverse di collaborazione che hanno permesso a entrambe di trovare stimoli o occasioni di visibilità e crescita.
Un episodio in particolare è esemplificativo: una cliente aveva avuto una difficoltà nei contatti con la nostra azienda e aveva deciso di rendere pubblica la sua storia sui social, con un rischio reputazionale notevole. Ebbene, dal contatto nato per chiedere scusa e per risolvere quel problema è poi nata una bella connessione che ha visto quella persona mettersi a disposizione della nostra organizzazione per condividere la sua personale storia di empowerment, il che ha generato per lei e per noi un’occasione in più di reale arricchimento.
“Fare rete” è una scelta, spesso impone di dedicare tempo e attenzione, di mettersi appunto a disposizione, senza un intento di immediato ritorno. Il valore sta nel credere che nel tempo quel ritorno di valore ci sarà e in misura più forte delle energie e risorse spese.
Business Writing, sei un’esperta e insegni questo tema. Ti chiedo di salutarci con un consiglio semplice da tenere sempre a mente nella nostra scrittura professionale quotidiana
Parto dalla base, da una dei principi dello scrivere professionale (e non solo) RFW
Reader Focused Writing: focalizzarsi su chi ci leggerà e chiederci quale sarà l’impatto del nostro testo. Sarà comprensibile per tutti i possibili destinatari? Qual è la ragione di quel testo, con quale obiettivo lo stiamo scrivendo? C’è forse qualcosa da modificare per avere maggiore possibilità di cogliere l’obiettivo? Pur nella ricerca e nel rispetto del nostro stile di scrittura, il rispetto più importante è quello verso chi ci legge. Farsi delle domande e ricordarsi questo principio chiave, RFW, è un ottimo passo avanti.
Foto di Clay Banks su Unsplash