“Se le tue azioni ispirano gli altri a sognare di più, imparare di più, fare di più e diventare di più, sei un leader.”
Parto con la citazione di John Quincy Adams per evidenziare da subito l’obiettivo con cui scelgo di ospitare Professionisti: condividere la loro esperienza, fonte di ispirazione, di valore per chi cerca stimoli per apprendere, sognare e fare di più. Coinvolgo persone che ritengo essere leader di se stesse prima di tutto, ovvero chi fa accadere le cose, a partire dal proprio successo (che per me è il raggiungimento dei propri obiettivi professionali, ben definiti) e che non aspetta l’opportunità ma la costruisce.
Per questa nuova intervista ho pensato di coinvolgere Martina Sconcerti, Manager | Soft Skills Trainer e Coach ICF – ACC | Career Strategist.
Ciao Martina, ho iniziato a presentarti con qualche parola chiave su chi sei professionalmente. Chi è Martina Sconcerti?
Ciao Valentina e grazie per questo spazio sul tuo blog! Sono una manager, da che ho memoria. Fin da bambina ho visione d’insieme, organizzo, pianifico, gestisco, costruisco relazioni, mi prendo responsabilità e, “ovviamente”, faccio in modo che il team cresca e lavori compatto, nonostante tutte le difficoltà. Ho messo queste competenze in azienda per molti anni, ora le dedico alle persone e alle aziende, con il coaching, la formazione, la consulenza.
Se ti dovessi presentare con un’immagine metaforica quale sceglieresti e perché?
Ti direi con le onde del mare, perché cambiano in continuazione per affrontare tutte le situazioni e rimanere fedeli a sé stesse.
Che lavoro sognavi di fare da bambina; sei vicino a quel sogno?
Da bambina, avrò avuto sei anni, con la mia amichetta giocavano a “fare i soldi” facendo le stiliste. Disegnavamo pezzetti di carta verde e facevamo modelli con il “Gira la Moda”, un gioco simbolo degli anni’80. Ero ampiamente contaminata dalla cultura reganiana dell’epoca! Quindi sì, ero una bambina atipica, io volevo girare il mondo ed essere importante, riconosciuta. In effetti sono molto vicina a quel sogno. Nel mentre l’ho costruito su altri valori, i soldi sono uno strumento e non un fine, e la definizione di successo è cambiata parecchio. Ma sono la donna che sognavo da bambina, ora.
Quali sono state le tappe più importanti del tuo percorso professionale?
Ho sempre corso molto e fatto parecchi sacrifici. Laurea in economia aziendale a 23 anni, primo impiego in banca (finanza) dopo 2 settimane; da lì una crescita verticale, che è stata possibile prendendomi dei bei rischi. Per ben due volte mi sono dimessa da un contratto a tempo indeterminato per cominciare da un’altra parte, a fare un’altra cosa, con un contratto determinato, di pochi mesi. Dalla banca, sono passata in consulenza, cambiando settore e città (a 25 anni), e dopo cinque anni matti e disperatissimi di progetti, 16h di lavoro e tutto lo stress che si può respirare in consulenza, ho cominciato a lavorare presso un cliente, una multinazionale americana. Lì mi sono divertita e sono cresciuta esponenzialmente per i successivi 10 anni, con ruoli di responsabilità locale e internazionale, e spaziando dal Customer Service e Operations all’Account Sales. L’ultimo rischio, forse il più grande? L’ho preso all’alba dei 40 anni, dimettendomi dalla carriera “perfetta” e intraprendendo la libera professione. Ora sono coach, mi occupo di leadership e soft skill, e accompagno persone e organizzazioni attraverso il cambiamento, la mia materia preferita da sempre.
Hai un cognome che per molte persone negli anni hanno rappresentato un idolo nel mondo dello sport. Come hai vissuto e come vivi il rapporto con la fama di tuo papà?
Essere figlia di un numero uno è già faticoso di suo. Se poi quella persona è anche un personaggio pubblico, la fatica è esponenziale. Quando ero piccola, la sua carriera ha significato cambiare città con la velocità con cui le altre persone fanno il cambio di stagione, e ogni volta costruirmi una nuova realtà, nuova scuola, nuovi amichetti, nuove abitudini. Sarà per quello che sono molto brava a navigare nel cambiamento?
Quando poi è arrivata la fama della TV, peggio 😊. Ho diviso papà con migliaia di altre persone. Avevo un posto enorme nel suo cuore, ovviamente, ma non così grande nella sua vita quotidiana. E la quotidianità mi è mancata tantissimo. Quello per cui invece lo ringrazio tutti i giorni è avermi insegnato, anche con l’esempio personale, ad andare sempre oltre. A non accontentarmi della prima risposta, a ragionare in modo critico, laterale, con la dialettica, accogliendo gli altri punti di vista, a cercare altri punti di vista. Ricordo migliaia di serate passate a parlare di storia, filosofia, mitologia, fisica. Tutto questo mi ha permesso di crearmi un pensiero davvero a 360 gradi e a spaziare fra tante discipline, per crearmi una cultura ogni giorno più ricca. E pensare che la gente lo ammirava per il calcio! Ora sono la figura pubblica di riferimento per tutto quello che riguarda la sua memoria. Ho fatto pace con alcuni aspetti del passato e tengo ben custodito tutto quello di prezioso che ho vissuto con lui.
Hai esperienza in azienda e oggi da consulente come libera professionista. Quali sono le più grandi differenze nell’approccio al lavoro?
Per quanto se ne faccia un gran parlare, molte aziende faticano ancora a lavorare per obiettivi, quelli veri. Esistono troppe sovrastrutture che rendono sia le attività di processo che progettuali lunghe, estenuanti, appesantite. Tutta questa “burocrazia di attività” rallenta e impedisce una visione di insieme limpida, così come la compresenza di obiettivi diversi per funzione impedisce uno sforzo da tutti i fronti verso il risultato comune più alto (il bene dell’azienda). La consulenza porta con sé velocità, visione, adattabilità, ed è per forza votata all’imprenditorialità, altrimenti non sta in piedi. Nella mia esperienza personale, le aziende che funzionano meglio sono quelle che hanno portato questo spirito progettuale e di imprenditorialità all’interno delle organizzazioni, con grande sforzo di trasformazione. Dall’altra parte, la consulenza funziona se tiene conto della complessità aziendale e riesce a semplificarla, altrimenti ormai per qualche suggerimento basta consultare una qualunque intelligenza artificiale.
Spesso parliamo tra di noi dei “lati oscuri” della libera professione. Quali sono a tuo avviso le cose importanti da sapere prima di mettersi in proprio?
Ci sono molti fattori a mio avviso, alcuni proprio fondamentali:
- La tua professione sarà composta da molti lavori. Quello che sai fare bene è solo uno dei tanti. Dovrai imparare a definire la tua offerta, a costruire relazioni, a proporti a potenziali clienti, ad usare una serie di strumenti, a fare i conti, e tante altre cose che all’inizio non saprai minimamente fare
- Non è vero che avrai più tempo per te. O almeno, se ci riesci insegnacelo 😊 ma scherzi a parte potrai cambiare il modo in cui usi il tempo, avere un range di scelta più ampio, ma difficile che ti restituirà quella libertà che tutti proclamano appena si dimettono
- Se tieni a quello che fai, sarà difficile staccare. Dovrai imparare a metterti dei limiti altrimenti sarai più sommerso di prima
- Considera che potresti metterci un po’ ad andare a regime, quindi meglio avere dei risparmi da parte. E poi che i soldi vanno e vengono. Questa è l’enorme differenza con il lavoro dipendente. Farai fatica ad abituarti. Io almeno faccio una grande fatica.
Giornalmente segui diverse persone come coach; chi a tuo avviso può pensare di valutare un percorso di coaching come coachee, quindi la persona che “riceve” il coaching?
Ci sono alcuni ingredienti indispensabili per avviare un percorso di coaching. In primis la persona deve essere pronta a mettersi in discussione; poi deve avere chiaro che la trasformazione è in mano sua; il/la coach farà di tutto per accompagnarla, ma le azioni sono sua responsabilità. Molte persone rifiutano questa semplice verità, perché cambiare è faticoso e vorrebbero che il/la coach fornisse una ricettina pronta per migliorare. Un po’ come le pasticche per dimagrire. Ecco, non funziona così! Altro grande aspetto è darsi tempo. Vero che il coaching è un processo scandito da tempo e obiettivi, ma la maggior parte delle volte comincia con una grande nebbia, e per diradarla bisogna concedersi tempo, e ascolto.
Hai una grande passione per la vela, le barche, il mare (tra l’altro il nostro Agropontino). Cosa si impara dalla barca nel lavoro?
Tutto! Fosse per me farei solo formazione in barca. Limitandomi a quattro grandi insegnamenti:
- Le competenze tecniche sono fondamentali e ti aiutano a gestire qualsiasi tipo di imprevisto in tempi brevi
- La vela ti insegna la disciplina, il rispetto dei ruoli, l’importanza di ogni membro dell’equipaggio, la leadership e la followership, che possono anche coesistere nella stessa persona, a seconda dei momenti
- Non è una questione di se, ma di quando: l’imprevisto arriva sempre. Imparare a prevederlo quanto più possibile aiuterà a gestirlo con successo
- Non puoi scegliere la direzione del vento, ma puoi regolare le vele per raggiungere la tua destinazione.
Ci saluti con la tua citazione preferita?
“Un mare calmo non ha mai fatto un buon marinario”, ma non so di chi sia 😊