“Se le tue azioni ispirano gli altri a sognare di più, imparare di più, fare di più e diventare di più, sei un leader.”
Parto con la citazione di John Quincy Adams per evidenziare da subito l’obiettivo con cui scelgo di ospitare Professionisti: condividere la loro esperienza, fonte di ispirazione, di valore per chi cerca stimoli per apprendere, sognare e fare di più. Coinvolgo persone che ritengo essere leader di se stesse prima di tutto, ovvero chi fa accadere le cose, a partire dal proprio successo (che per me è il raggiungimento dei propri obiettivi professionali, ben definiti) e che non aspetta l’opportunità ma la costruisce.
Per questa nuova intervista ho pensato di coinvolgere Martina Domenicali, Co-founder of Lexroom.ai and Community Builder (100K on social media)
Ciao Martina, ti ho presentata per ora attraverso la tua headline sui social ma tu in realtà hai già fatto diverse esperienze e sei molto nota per la divulgazione sui social, dove particolare attenzione la dedichi ai disturbi alimentari. In un “Elevator Pitch”, che tu che fai parte del mondo startup sei abituata a fare, sinteticamente quindi come presenteresti te stessa?
Mi presento attraverso le mie “due anime” principali: quella da imprenditrice, appassionata di tecnologia, e quella da attivista della salute mentale, attività che svolgo principalmente attraverso i social, che per me rappresentano un bel megafono per raggiungere più giovani possibili.
Cosa sognavi di fare da bambina e quanto oggi sei vicina a quel sogno?
Da bambina ho sempre pensato e detto agli altri che sarei diventata un avvocato, anche perché avevo grande parlantina e curiosità che mi portavano costantemente a parlare con tutti. Quella parlantina mi è rimasta nel tempo ma ho deciso di utilizzarla diversamente, ad esempio sui social.
L’idea di fare l’avvocato ad un certo punto della mia vita, dopo gli studi, ho iniziato a viverla sentendomi un po’ “incastrata sui binari”. Stava emergendo sempre di più la mia propensione all’innovazione e la ricerca di una strada che mi avvinasse all’innovazione mi ha allontanata dal sogno dell’avvocato.
Ci racconti qualcosa in più del tuo percorso di studi, fino a ricondurlo alla tua esperienza lavorativa attuale (ti sto chiedendo una sorta di “teoria dei puntini” alla Steve Jobs)?
Mi sono laureata in Giurisprudenza, magistrale di 5 anni, con un master in diritto delle nuove tecnologie a Londra. Il primo puntino nel mio percorso è stato il forte background giuridico. Il secondo, invece, la specializzazione in diritto di nuove tecnologie (innovazione del diritto). Il terzo puntino, infine, è stato iniziare a lavorare sui social, attività che mi ha permesso di imparare la comunicazione mediatica e digitale. Da questi tre puntini insieme nasce “Lexroom.ai”.
Ti va di fare un piccolo “Elevator Pitch” e dirci qualcosa in più di “Lexroom.ai” per farla conoscere a chi ancora non ne ha sentito parlare?
È una startup Legal Tech con cui abbiamo sviluppato un software che implementa l’intelligenza artificiale per permettere agli avvocati di fare ore di ricerca giuridica in pochi secondi, efficientando il processo (da una parola chiave che mostra tantissimi risultati, a una ricerca su fonti giuridiche più pertinenti e rilevanti e che, inoltre, sintetizza i risultati già in un semilavorato, in una bozza di parere).
Prima di “Lexroom.ai”, hai avviato un’altra startup. Nonostante la tua giovane età, hai già accumulato diverse esperienze nel mondo imprenditoriale. Se potessi dare tre consigli a chi sta pensando di creare e portare avanti una sua idea, cosa consiglieresti?
Come prima cosa ci tengo a dire che la mia prima startup è fallita. L’ho costituita con due colleghi e amici che stimo tanto e a cui voglio molto bene ma “Outcity” (così si chiamava) è fallita anche per visioni differenti e diverso desiderio rispetto alla strada e al futuro. Quindi il primo consiglio è trovare un team, dei soci con cui si è allineati sulla visione, sulla costruzione. L’allineamento tra i soci è fondamentale.
Il secondo suggerimento è avere Mentor che possano colmare gap esperienziali; per me è stato importante trovarli per imparare velocemente da loro, dai loro apprendimenti e dalle loro visioni più ampie.
Il terzo consiglio, più personale, è ricordare che fare startup/impresa implica l’accettazione del rischio e del fallimento in modo concreto, perché è spesso parte inevitabile del percorso, come è accaduto a me nell’esperienza con “Outcity”, di cui resto molto soddisfatta anche per questa importante “lezione”.
A giovani che invece stanno cercando la loro strada professionale cosa ti senti di consigliare per aiutarli concretamente a individuare un proprio possibile percorso?
Questa è una domanda che mi è molto cara perché ho tanti amici in questa situazione, compresi i miei fratelli. Anche in questo caso ribadisco l’importanza di avere dei Mentor perché è quello che condivido sempre con loro come suggerimento pratico: ricercare persone che possano ispirarci, permettendoci di capire e di verificare se una strada possa essere quella giusta, attraverso il confronto con loro che stanno già attraversando quel percorso.
Sei contemporaneamente, lo abbiamo detto, una “Content Creator”, seguita da diverse persone sui social. Provi a dare la tua definizione di “Content Creator”?
Più che una definizione della professione, condivido la mia interpretazione, come la vivo io (modalità che ho già in parte detto nel mio “Elevator Pitch” iniziale): utilizzare i social nel loro impatto positivo, quindi come un grande megafono sociale per condividere messaggi. Io cerco di farlo attraverso la pubblicazione di spunti utili e positivi, pensati in forma leggera per arrivare a più persone. E arrivare a tante persone, per avere un impatto positivo, io lo vivo come un grande privilegio di cui sono grata al mezzo social.
Qual è la cosa più bella che ti è capitata utilizzando i social per sensibilizzare sui temi legati ai disturbi alimentari?
In realtà sono tante le cose belle che mi sono accadute. La più bella in assoluto: mi sono legata a un ragazzo che ha una nipote che non sta bene. Mi aveva contattata perché non sapeva come vivere questa situazione. Io ho cercato di stargli vicino, senza dare soluzioni ovviamente perché non faccio questo di mestiere. Da un’esperienza digitale, tra due sconosciuti, abbiamo creato un vero legame. Questo è quello che trovo pazzesco: questa dimensione social può permettere di sentirsi meno soli, anche in avvenimenti come questi.
Hai citato più volte l’importanza di avere dei Mentor; vuoi dirci chi sono i tuoi e/o e cosa ti hanno ispirata a fare meglio o diversamente?
Ne ho diversi. I più importanti: i miei genitori, che sono stati e sono Mentor per come approcciare il lavoro e i rapporti lavorativi in modo etico e umano. Li stimo molto per i loro valori.
Elena Alberti, che mi ha fatto rendere conto che la strada da avvocato era, sì, nelle mie corde ma che non sarei stata felice continuando a perseguirla; quindi mi ha aiutata a capire meglio la mia strada.
Vittorio Martinelli* un terzo Mentor, con i suoi feedback non filtrati ma sempre costruttivi e che nella mia prima esperienza di Startup mi ha permesso di comprendere come quel Business, e più in generale quell’impostazione, non potesse sostenersi nel medio e lungo termine.
Ti chiedo di salutarci con il tuo motto preferito
Il mio motto (me lo dice sempre mio padre): “La goccia scava la roccia non con la sua forza ma con la sua perseveranza!”
*A Vittorio Martinelli dobbiamo questo nostro incontro ed entrambe siamo nel suo recente libro pubblicato insieme a Luigi Ranieri per Apogeo Editore: “Piano B. 10 consigli per cambiare lavoro”
– Ritratto di Martina Domenicali
– Foto di copertina di Jon Tyson su Unsplash –