Aprile 25, 2022

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“Se le tue azioni ispirano gli altri a sognare di più, imparare di più, fare di più e diventare di più, sei un leader.”

Parto con la citazione di John Quincy Adams per evidenziare da subito l’obiettivo con cui scelgo di ospitare Professionisti: condividere la loro esperienza, fonte di ispirazione, di valore per chi cerca stimoli per apprendere, sognare e fare di più. Coinvolgo persone che ritengo essere leader di se stesse prima di tutto, ovvero chi fa accadere le cose, a partire dal proprio successo (che per me è il raggiungimento dei propri obiettivi professionali, ben definiti) e che non aspetta l’opportunità ma la costruisce.

Per questa nuova intervista ho pensato di coinvolgere Enrico Zanieri, Project Manager | Executive & Business coach ICF | LinkedIn Top Voice 2022 | TEDx Speaker | Lifehacker | Learning and books addicted

 

Ciao Enrico, nel tuo blog ti presenti così: “Ho lavorato in aziende globali operanti in diversi settori, ricoprendo ruoli differenti in molte delle funzioni tipiche delle grandi multinazionali e facendo della contaminazione fra culture e generazioni una strategia di business. “Semplifico” sia nella vita professionale che in quella privata, ottimizzando l’utilizzo del tempo e facendo leva su creatività ed apprendimento continuo (motori principali di tutte le mie attività).
Da ex atleta professionista, continuo a trovare ispirazione nello sport per affrontare le sfide quotidiane, mutuando concetti di fiducia, gioco di squadra, velocità e resilienza. Per lavoro e per attitudine, gestisco due delle cose più preziose in natura: tempo e risorse umane…” Cosa puoi aggiungere con un tweet e con un’immagine metaforica per raccontarci qualcosa in più di te?

Enrico Zanieri: “Top Voice” nelle sfide quotidiane, tra leadership, fiducia, gioco di squadra, velocità e resilienzaSe devo pensare ad una metafora mi piace l’immagine di un viaggiatore che puoi trovare indifferentemente in una delle zone più remote del deserto con uno zaino in spalla o in un hotel a cinque stelle in una delle località più convenzionali del pianeta.
Aperto a luoghi, conoscenze, collaborazioni e persone senza troppi di quegli schemi, bias, preconcetti o “distinzioni convenzionali” che abbiamo tutti.

 

Una prima domanda che magari ti hanno fatto diverse volte: come si diventa “LinkedIn Top Voice”?

In primis scrivendo cose che tu per primo vorresti leggere: questo vuol dire scegliere argomenti che ti interessano e cercare di dargli un “taglio” che possa essere interessante per le persone che spendono il proprio tempo per leggerti.
In seconda battuta donando un po’ di se stessi agli altri, senza paura del giudizio ma soprattutto senza pensare all’algoritmo, alla visibilità o alla ricerca spasmodica di consenso (tutte cose che inibiscono la creatività e che impattano sulla qualità di quello che scrivi e su come viene percepito)…
Lo scopo per cui si sta su un social come LinkedIn, dovrebbe essere quello di mettere il proprio pensiero e le proprie competenze a servizio degli altri, senza autoreferenzialità ma al solo fine di essere “utili”.

 

Se dovessi scegliere uno dei tuoi post a cui sei particolarmente legato, quale sceglieresti e perché?

Ce ne sono un paio che riporto in calce..
Io generalmente scrivo di team di lavoro efficienti, di relazioni professionali positive e di futuro del mondo del lavoro: questo passa dalla capacità di tutti noi (non solo dirigenti ed imprenditori), di essere leader di se stessi e di diventare un punto di riferimento per i propri colleghi e/o collaboratori.
I miei due post preferiti sono pertanto legati alla leadership ed in particolare al suo legame con la “genitorialità” (tema a cui sono molto affezionato essendo “padre” prima che “professionista”).
Molti confondono il senso di famiglia con quello di comunità ma io credo che una relazione genitoriale “sana” (dove quest’ultimo attributo fa tutta la differenza del mondo), abbia forti correlazioni con quello che un leader dovrebbe essere per il proprio gruppo di lavoro indipendentemente dai ruoli e dai rapporti professionali (se di dipendenza gerarchica, funzionale o di partnership).

Il resto potete leggerlo qui:

https://www.linkedin.com/feed/update/urn:li:activity:6883702061112819712/

e

https://www.linkedin.com/feed/update/urn:li:activity:6883702061112819712/

Ti propongo un piccolo esercizio: disegnare la mappa dei puntini che ti hanno portato a ricoprire il ruolo di oggi, evidenziando le tappe centrali, considerando anche gli studi.

La mia, come la vita di tutti, è stata fatta di “sliding doors”. Ho sempre avuto un’anima umanista ma ha sempre prevalso poi l’aspetto “scientifico”. A 10 anni la prima frustrazione: scrissi una poesia che nessuno riusciva ad attribuire ad un bambino di quinta elementare e la mia esperienza con la scrittura e l’umanesimo finì lì. A 18 anni non ero ancora sicuro di cosa fare (anche se lo sembravo): scelsi medicina ma per un soffio non passai al test di ingresso; mi ripescarono dopo un paio di mesi ma mi ero già scritto ad ingegneria e rifiutai (da lì credo di aver cominciato ad avere una certa ritrosia per le metriche, le classifiche ed i test “standard”).
Nonostante la matematica non fosse il mio forte, ho conseguito la laurea a 25 anni (forse più per scontare la pena prima che per altro).. ho quindi avuto una carriera molto accelerata (all’epoca uscivi dall’università e trovavi lavoro) e dopo un paio di cambi, a 33 anni lavoravo per una grande azienda, avevo una delega dell’amministratore delegato e gestivo due reparti di 40 persone subendo enormi pressioni da parte di manager molto più “senior”: interpretavo il mio ruolo ed il business in generale in modo molto diverso dagli altri e non mi curavo delle gerarchie (errore che avrei pagato a caro prezzo). Dopo un paio di anni fui demansionato per poi riprendermi diventando deputy project manager di uno dei progetti più importanti nel trasporto ferroviario italiano. Dai 35 ai 42 ho passato momenti altalenanti, fatti prevalentemente di cadute, frustrazioni e rimuginamenti a scarso valore aggiunto. Poi ho deciso che era il momento di darsi una scossa ed ho deciso di cominciare a rielaborare quello che mi era successo per metterlo a servizio degli altri. Ho riflettuto a fondo sui miei errori ma anche sull’importanza di essere se stessi, di credere nel proprio modo di fare le cose e di “scegliere l’ambiente giusto” per le proprie caratteristiche (perché puoi essere “il pesce più veloce del mondo” ma se vivi nella foresta le tue capacità non valgono niente…).
Oggi metto a frutto la mia esperienza a servizio di leader, manager ed imprenditori di alto livello, per dargli quella comprensione più estesa che io ho dovuto apprendere a mie spese in un sacco di tempo.
Nel tempo libero erogo sessioni di executive coaching, mi occupo di formazione e di consulenza strategica per aziende e continuo a formarmi costantemente.
Nel frattempo ho mantenuto il mio incarico di project management per una multinazionale americana, gestendo progetti di complessità medio alta con un team di progetto estero (cosa che mi concede una certa flessibilità e che insieme ad un contratto di smartworking mi consente di continuare ad unire “i puntini”).
A volte prendo qualche incarico “extra” scendendo a qualche compromesso (ma il mio “traguardo”, che non è quello del “successo economico”, rimane quello di arrivare un giorno a scegliere deliberatamente per chi lavorare e con chi collaborare).

Quale pensi sia stato l’errore da cui hai imparato di più?

Mettersi di traverso quando non hai ancora l’esperienza sufficiente per farlo. Portare avanti le proprie idee e le proprie battaglie è giusto e sacrosanto, ma bisogna farlo in conformità all’ambiente in cui siamo e compatibilmente con le condizioni al contorno (che non sono mai pienamente sotto il tuo controllo).
Ci vuole insomma un po’ di “intelligenza contestuale”: quella che è mancata a me quando, ancora giovanissimo, ho volutamente forzato la mano scontrandomi con dinamiche poco produttive e contrastando un sistema concettualmente sbagliato ma che non poteva essere in alcun modo cambiato.
Ho imparato che le battaglie non si combattono da soli, che spesso non sono neanche “battaglie” e che ognuno ha una visione parzialmente giusta delle cose (come disse qualcuno…”esistono sempre tre verità: la mia, la tua e la verità”).
Per vivere sereni (dentro e fuori dall’ambiente lavorativo), è necessario essere se stessi ma anche sapersi muoversi negli ambienti con armonia: mettersi in ascolto di se stessi e degli altri, capire il perimetro entro cui lavoriamo ed agire di conseguenza verificando costantemente di riuscire a farsi seguire da chi ci sta intorno (stando attenti alle “false accondiscendenze”).
… e se le condizioni non lo permettono, bisogna prendere il coraggio di lasciar andare tempestivamente  (oggi si insiste molto sulla “resilienza”, ma “capire quando è il caso di mollare” è la vera chiave per il successo personale… nonché dimostrazione di grande intelligenza e saggezza, piuttosto che di sconfitta).

 

Se una persona all’inizio di una sua nuova esperienza ti chiedesse dei consigli per viverla al meglio, tu cosa suggeriresti?

Di mantenere la propria identità nel rispetto degli altri e di non dare giudizi affrettati, cercando di ascoltare più che di parlare delle proprie esperienze (cosa che spesso viene naturale a causa delle proprie insicurezze e della volontà di “rompere il ghiaccio”).
Consiglierei di circondarsi di persone che possano massimizzare i propri punti di forza e di non esitare a chiedere aiuto mostrandosi per quello che si è (vulnerabilità comprese).
Trovare dei “mentor” che possano indicare la strada, dare dei feedback ed aiutare a crescere e migliorare (unica chiave per un’esperienza professionale significativa e di impatto).
Oltre a questo consiglierei di puntare a crescere organicamente come persona e come professionista (piuttosto che mirare all’ottenimento di “titoli”)… per poi riuscire a costruire nel tempo quella che io chiamo “la squadra” (un gruppo di persone affiatate che si completano e che raggiungono insieme risultati straordinari).

Scoprire un talento è facile. Questa è la sintesi di un Tedx che ti ha visto protagonista: “Dallo scheletro all’anima: come riconoscere un talento“. Qui mi apri più domande a partire dalla prima e gettonatissima: chi è un talento? Poi ti chiedo, pensi davvero sia facile scoprirlo e, soprattutto, una volta riconosciuto, valorizzarlo concretamente nelle aziende un vero talento? A volte sembra più comodo ignorare chi è portato ad andare “oltre” o “fuori dagli schemi”; gli irrequieti, che spesso sono talenti (considerando che la loro irrequietezza è comunemente la diversa faccia della stessa medaglia, quindi l’aspetto negativo della loro proattività, curiosità e voglia di intraprendere il nuovo e l’inesplorato, dando per assodate le competenze consolidate), sono difficilmente “gestibili” per la loro tendenza a mettere in discussione.

Ognuno di noi ha un talento che in realtà non è altro che la massima espressione delle proprie caratteristiche migliori… ma se parliamo di talenti spiccati e di come individuarli all’interno dell’azienda la cosa si fa paradossalmente più semplice (come spiego nel Tedx che riporto qui: https://www.youtube.com/watch?v=YG3ke-vVj4o)

I talenti puri sono da ricercare fra i “ribelli” ovvero fra le persone che tendono a mettere in discussione lo status quo, a chiedersi il “perché” delle cose e a non accontentarsi di risposte banali o prive di un senso per loro (come ad esempio il classico “abbiamo sempre fatto così”).

I ribelli dietro cui si nascondono i talenti più spiccati sono persone curiose che non si accontentano delle spiegazioni facili e che non ragionano come gli altri: si riconoscono facilmente perché al di là di qualche modo poco ortodosso di esprimere le proprie idee, fanno quello che altri non fanno.
Mentre gli altri ricercano le “comfort zone”, i ribelli ed i talenti puri si muovono costantemente fuori: hanno il senso della sfida, non rimangono ancorati ad idee precostituite (tanto meno se gli vengono imposte dall’alto) e difficilmente accettano di rimanere in una stessa posizione per un tempo lungo.
Sono irrequieti e non amano le regole, che considerano sempre troppo rigide e puntuali rispetto a quella che la loro visione (generalmente molto più ampia).
Per le aziende abituate ad un management classico, questo è un salto concettuale enorme: gestire un ribelle è difficile e quello che generalmente fanno è cercare di evitarli o metterli in posizioni in cui non possono fare troppo rumore (spengendo il loro talento e rinunciando conseguentemente a tutto il loro potenziale), quando invece la soluzione sarebbe semplicemente “metterli nelle posizioni giuste” e dargli l’autonomia necessaria per dare i risultati di cui sono capaci.
Per riassumere: individuare un talento è estremamente semplice (basta cercare fra i “ribelli”)…. Ma per valorizzarlo e scoprirlo è necessario per le aziende un totale cambio di paradigma nel modo di pensare e di operare (affondando e rivedendo la propria “cultura”, rinunciando al “comando e controllo a tutti i costi” e valorizzando effettivamente le “differenze”).

 

Si parla tanto di leadership; ogni giorno c’è un post su un tipo di leadership vincente. Ogni giorno sembra prevalere, come migliore e quindi da perseguire, un particolare stile rispetto allo scenario. E forse, mai come oggi, siamo davvero confusi sul tema: “Come dovrebbe essere questa leadership, gentile? “Servant? Io credo che nulla sia più efficace della leadership autentica (chi riesce a non separare la propria identità professionale da quella personale, che attinge sia da capacità psicologiche positive, sia da un contesto organizzativo altamente sviluppato e che si traduce in una maggiore consapevolezza di sé e autoregolazione dei comportamenti positivi in base al contesto – Luthans & Avolio). Tu, nei tuoi contributi, condividi spesso riflessioni interessanti sul tema e quindi ti chiedo anche qui di darci la tua opinione sulla leadership

Hai ragione…si scrive molto sulla leadership e purtroppo c’è molta retorica ma il concetto è molto semplice e credo tu lo abbia riassunto perfettamente all’interno della tua domanda parlando di “leadership autentica”.

Chi riesce ad essere se stesso sia al lavoro che nella vita privata ottiene naturalmente più fiducia.

Stessa cosa con chi opera con etica e trasparenza.
La fiducia permette la costruzione di squadre e le squadre producono insieme risultati enormemente più rilevanti rispetto a quelli ottenibili da qualsiasi persona singola (per quanto “talentuosa”): questo è il concetto su cui si basano i veri leader (ed il motivo per cui intelligentemente riescono a fare “un passo indietro”).
La leadership autentica favorisce la fiducia e la “servant leadership” non è altro che un’applicazione logica di chi ha capito che il gruppo vince sempre sul singolo.
In fondo è un concetto estremamente semplice da capire (per quanto di difficile applicazione in un mondo ancora ripiegato su logiche individualistiche).

 

Qual è la tua visione di Networking? Hai una storia particolarmente interessante da condividere con noi?

Il Networking fatto bene è uno strumento fondamentale sia per la professione che per migliorare la propria vita privata. Un detto dice che “Siamo le 5 persone che frequentiamo maggiormente”, quindi la qualità di quello che siamo e di quello che facciamo) dipende fortemente dalla nostra capacità di circondarci di persone straordinarie.
Il networking consente di esplorare, conoscere e relazionarsi con una quantità di persone enormemente più grande di quella a cui siamo abituati se ci rinchiudiamo nel guscio del nostro ufficio o della nostra famiglia (potendo attingere quindi ad un “paniere” molto più grande per quelle famose “5 persone”…).
Inteso come esplorazione di nuove conoscenze e possibilità, il networking ci dà la possibilità di aumentare i nostri orizzonti, di esplorare nuove strade, di conoscere persone più in linea con i nostri interessi.

Non ho una storia in particolare ma solo tre concetti sulla mia idea di “networking”:

  • Deve servire per incontrare persone con i nostri stessi interessi
  • Deve essere utile e non utilitaristico
  • Deve riuscire a far nascere collaborazioni che migliorano tutti.

Personalmente posso dire che da quando ho iniziato a dedicare del tempo al networking (non forzandolo ma seguendo intuito ed istinto ed approfondendo le conoscenze virtuali che mi ispiravano), ho sperimentato grandi collaborazioni e persone che mi hanno fatto fare un salto in avanti sia in termini di consapevolezza che professionali.
Il networking è in questo senso un “agente abilitante e potenziante” delle proprie caratteristiche migliori..

Ti definisci, come riportato in apertura, un “Learning and books addicted” e a te, per salutarci, chiedo di suggerirci un libro imperdibile e perché

Impossibile indicarne uno solo… farò uno sforzo per suggerirne “solo” due: “Factfulness” di Hans Rosling e “dall’origine” di David Christian…
Sono entrambi libri che hanno completamente cambiato il mio modo di vedere le cose e che affrontano in chiavi diverse i motivi dei “perché” abbiamo percezioni della realtà spesso non realistiche.
Il primo  fornisce “dieci ragioni per cui non capiamo il mondo… e per cui le cose vanno meglio di come pensiamo” (spiegando perché una toilette è uguale sia in Cina che in India e quanto le diversità culturali siano in realtà limitate perché molto dipendenti dal livello di progresso e di ricchezza di un paese).
Il secondo ripercorre la storia dell’universo in una chiave che aiuta molto a stemperare il nostro ego, a ricollocarci in una dimensione spazio-temporale realistica ed in definitiva a vivere molto meglio il nostro limitatissimo tempo su questo pianeta (oltre ad allontanarci dalla dimensione individualistica che, come ho spiegato prima, limita fortemente qualsiasi risultato ottenibile professionalmente e non).

Pe coloro che vogliono approfondire qui di seguito trovate i link per le recensioni sul mio blog:

Factfulness: https://enricozanieri.it/?s=factfulness

Dall’origine: https://enricozanieri.it/?s=origine

Buona lettura e least but not last… grazie per questo spazio a te Vale ed a tutti coloro che hanno speso il proprio tempo per leggere questa intervista!

Foto di Joshua Earle su Unsplash

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