“Se le tue azioni ispirano gli altri a sognare di più, imparare di più, fare di più e diventare di più, sei un leader.”
Parto con la citazione di John Quincy Adams per evidenziare da subito l’obiettivo con cui scelgo di ospitare Professionisti: condividere la loro esperienza, fonte di ispirazione, di valore per chi cerca stimoli per apprendere, sognare e fare di più. Coinvolgo persone che ritengo essere leader di se stesse prima di tutto, ovvero chi fa accadere le cose, a partire dal proprio successo (che per me è il raggiungimento dei propri obiettivi professionali, ben definiti) e che non aspetta l’opportunità ma la costruisce.
Per questa nuova intervista ho pensato di coinvolgere Susanna Graziano, CEO e Founder di “Italia Plant Based srl”, Società Benefit (Brand “Mindful Morsel”)
Ciao Susanna, ti ho presentata nel tuo ruolo di fondatrice di una realtà che tra poco ti chiederò di approfondire; ti va di raccontarci prima qualcosa su di te?
Sono una zeneise (genovese) anomala, italo-inglese, da sempre molto curiosa rispetto al cibo che consumiamo. Appassionata di Dieta Mediterranea e delle persone, storie e ricette dietro al cibo che consumiamo, dopo varie vicissitudini sono approdata a Torino. Sono cresciuta con mia nonna Lilly, dallo humour nero tagliente, mia madre, eccentrica signora inglese che mi ha insegnato a provarci sempre, no matter what, e mio fratello Patrick, da sempre molto paziente con me e grande sportivo. Dopo il liceo ho deciso di lasciare Genova e ha avuto inizio il mio viaggio tra la Spagna, l’Irlanda, Torino, il Kuwait e, ora, nuovamente Torino.
Con una metafora come ti presenteresti?
Come un panda che rotola e poi si rialza, si guarda intorno cuorioso e divertito e rotola ancora. Anzi, come una torta alle carote e mandorle, con glassa di cioccolato amaro… che scopri essere senza uova e latticini e sorprende i non vegani!
Qual è la tua citazione preferita e perché?
È una citazione di Michael Pollan che mi ricorda sempre quanto sia importante concentrarci su cibi sani, poco raffinati e su ingredienti che conosciamo e riconosciamo come cibo: “Rule No.37 The whiter the bread, the sooner you’ll be dead.”
Ti propongo un piccolo esercizio: disegnare la mappa dei puntini che ti hanno portato a ricoprire il ruolo di oggi, evidenziando le tappe centrali, considerando anche gli studi.
Mi immagino una ragnatela. Parliamo dal primo puntino: la mediazione (da quando avevo 5 anni) tra mia nonna inglese e il mondo genovese, non era solo traduzione ma anche diplomazia, visto il personaggio e il contesto in cui vivevamo.
Il secondo punto lo definisco intraprendenza: sin da piccola, per essere indipendente, mi sono sempre data da fare. Colleghiamo quindi i primi libricini illustrati da me bambina fino alla creazione di prodotti tessili per la casa creati con materiale di scarto delle tappezzerie, fino alle mie prime avventure nel mondo del catering.
Altra tappa importante sono i viaggi e il mio “gap year” dopo il liceo. Sapere cosa non vuoi fare è fondamentale: questo anno sabbatico mi ha permesso di essere indipendente e di capire chiaramente cosa non desideravo fare.
Fast forward al mio percorso di studi universitari a Torino, optando per Scienze della Comunicazione. Lavoro in diversi settori per mantenermi mentre studio ed esploro la città, i suoi mercati, angoli e prelibatezze. Inizio a collaborare con la Facoltà di Economia e mi occupo delle loro relazioni internazionali, settore ideale per la mia capacità di relazionarmi con culture diverse e mediare, anche a livello organizzativo tra esigenze e priorità molto diverse.
Passiamo all’avventura e alla creazione di una nuova casa: il Kuwait. Ricevo un’offerta di lavoro come docente in Kuwait e ne approfitto per rivoluzionare la mia vita.
Mi trasferisco lì da sola e penso al miglior modo per integrarmi e conoscere persone: il cibo. Da lì nasce Cibo Kuwait, un progetto di produzione artigianale di cibo italiano e catering, in collaborazione con produttori locali e in occasione di farmers markets o cene a domicilio, un progetto che mi ha dato e fatto divertire moltissimo.
Passiamo al punto successivo: mi mancava la grande bellezza e sono rientrata in Italia. Durante la mia gravidanza, molta della quale passata da sdraiata durante la pandemia, mi sono concessa uno momento di pausa per fermarmi, studiare e ripensare ad alcuni elementi essenziali che mi mancavano in quel momento: l’entusiasmo, l’allineamento valoriale e la possibilità di essere creativa, diffondendo l’amore per gli ingredienti 100% vegetali e Made in Italy e le storie dei loro produttori.
Com’è nata l’idea di ““Italia Plant Based” (mindful morsel)”?
Ero incintissima, in coda al supermercato, alla ricerca di cibo sano, vegetale, veloce e facile da cucinare per me e la mia famiglia. Mi sono trovata davanti una odissea di plastica, cibi iperprocessati e molto spreco. Ho pensato quindi di poter valorizzare meglio i prodotti 100% vegetali “Made in Italy”, contribuendo anche a ridurre lo spreco nelle nostre dispense con contenuti dedicati. Ho cercato di strutturare al meglio la mia idea di business con il supporto dei mentor dell’Associazione Microlab e del percorso Mettersi in Proprio, il sistema regionale di accompagnamento all’imprenditoria della regione Piemonte. Ho anche chiesto dei consigli a Torino Social Impact per elaborare la mia strategia di impatto sociale e una volta aperta la società ho aderito all’ecosistema di società benefit da loro creato.
“Prima di tutto ho partorito con dolore e poi ho creato una Startup”. Mi ha molto colpito questa tua affermazione. Ti va di dirci meglio cosa intendi e cosa significa intraprendere un percorso così innovativo nel mercato?
La gravidanza è stato un momento molto trasformativo per me. La necessità di stare a riposo si è poi rivelata, dopo le mie resistenze iniziali, un’opportunità per approfondire temi che mi interessavano e creare un progetto allineato con i miei valori e le mie aspirazioni, con la convinzione profonda che sia non solo possibile, ma fondamentale fare “business with purpose”.
La valorizzazione dei prodotti 100% vegetali “Made in Italy” per me era una un’opportunità mancata, da valorizzare al meglio, unendo la mia passione per il cibo vegetale con quella del racconto delle storie degli agricoltori e produttori eroici, senza i quali, ricordiamocelo, la nostra esistenza sarebbe decisamente diversa. Il loro ruolo è fondamentale, e in quanto custodi del suolo vanno supportati e raccontati al meglio.
Dall’altro mi interessava affrontare lo spreco di cibo che avviene anche nelle nostre dispense: non sprechiamo solo cibo fresco, ma anche quello che ci dimentichiamo in dispensa. A quanti di noi è successo?
All’identificazione del bisogno di prodotti meno processati e 100% vegetali, con una produzione e packaging sostenibile, sono passata poi alla creazione della rete con produttori, fornitori e professioniste nel settore della grafica, comunicazione e fotografia. Era fondamentale per me supportare altre imprenditrici. Gradualmente il progetto ha preso forma, ho quindi partorito mio figlio William e lui mi ha sempre accompagnata in questo mio percorso e in quasi tutte le riunioni e sopralluoghi, dandomi una marcia in più.
La parola sostenibilità a volte è un po’ abusata. Nel tuo caso, invece, la possiamo cogliere in tanti aspetti: cibi italiani, più sani e sostenibili, in packaging personalizzati, privi di plastica e interamente riciclabili; i clienti ricevono nelle confezioni eco-friendly istruzioni semplici e intuitive su come usare i prodotti e realizzare ricette consapevoli e antispreco. Quindi, ti chiedo, mi dai la tua definizione di sostenibilità e alcune linee guida per perseguirla?
Per me la sostenibilità non riguarda solo il packaging: è una pratica quotidiana di gentilezza nei confronti di noi stessi, del pianeta, degli altri e di chi verrà dopo di noi. Si fonda su tre pilastri interdipendenti: Sostenibilità Ambientale, Sociale ed Economica. Non è una visione immutabile ma un processo continuo, che non comprende solo la nostra attività come imprenditrici e professioniste, ma la nostra intera esistenza e ogni nostra scelta, oltre alla possibilità di condividere quello che sappiamo e facciamo ogni giorno con gli altri, creando un ripple effect positivo.
La sostenibilità è sia accountability di ciascuno di noi e gentilezza, una parola nobile, da usare con cautela, perchè non pensiamo solo al nostro bisogno immediato, alla nostra comodità, al risparmio come consumatore e al margine facile come commerciante. Ogni nostro acquisto (e ogni nostra proposta come imprenditori) è anche un atto politico e ne dovremmo essere tutti più consapevoli.
La definizione di sviluppo sostenibile secondo la Commissione delle Nazioni Unite interpreta lo sviluppo sostenibile come “lo sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere le capacità delle future generazioni di soddisfare i propri”. Si tratta quindi di valorizzare e proteggere il potenziale attuale, ma anche quello futuro.
Il primo passo è sempre la formazione su questi tre pilastri e sulle conseguenze dei nostri acquisti, delle nostre scelte e azioni. Ognuno di noi può andare ben oltre al semplice riciclo del packaging, valutando le proprie scelte di consumo nel complesso, l’impatto della propria alimentazione, degli scarti, il supporto a progetti e realtà impegnate nel sociale e nel business with purpose. Dobbiamo puntare ad una vita e un’alimentazione consapevoli, a 360 gradi. Il mio invito è quindi ad informarsi, pensare e scegliere consapevolmente.
Consiglio inoltre a chi non conosce già la campagna “Beans is How” di visitare il sito https://beansishow.org/ per delle informazioni chiare e utili sul perchè è importante consumare legumi e come farlo.
I nostri clienti e gli iscritti alla nostra newsletter (che sono flexitariani, vegani e vegetariani) ricevono inoltre ricette e informazioni utili per un’alimentazione veg decisamente allegra e molto gustosa.
Donne e imprenditorialità. Tu ti stai contraddistinguendo nell’agrifood. Vedi, e se sì quali, gap che andrebbero colmati per favorire una maggiore presenza femminile?
È un argomento complesso, che meriterebbe un post a parte.
Se nel 2023 siamo ancora le uniche deputate alla cura della famiglia e dei figli, con scarse risorse di supporto, non solo economiche, l’occupazione ridotta delle donne, perlopiù precaria, generalmente part-time e in settori a bassa remuneratività non può che aumentare. L’inattività legata a motivi famigliari per le donne in Italia è negli ultimi anni cresciuta, ed è pari al 43,3 % contro il 25,3% degli uomini (Gender Policies Report 2022)!
Nel settore agrifood, a livello globale, la componente femminile è elevatissima, in media pari al 70% del totale e del 90% in alcuni paesi (FAO), ma, assieme ai bambini, le donne sono le persone maggiormente a rischio nel settore agroalimentare, rispetto al traffico di esseri umani, molestie sessuali, abusi, lavoro sottopagato, forzato e insufficienti tutele in materia di sicurezza sul lavoro e salute. A livello italiano le imprese a conduzione femminile sono in crescita, pari a circa il 30% del totale, ma questo dato in crescita coesiste con disparità salariali molto evidenti nel settore in Italia e un marea di donne invisibili attive nei campi, sottopagate, senza contratti regolari e spesso vittime di soprusi.
È fondamentale dar voce alle donne che rendono il settore agricolo italiano possibile, mettendo in luce e raccontando le loro attività, le loro passioni e i loro progetti, facilitando la creazione di reti con progetti e realtà innovative e supportando con risorse economiche (e non solo formazione) aspiranti imprenditrici nel loro percorso.
Un esempio virtuoso, pragmatico e molto attivo di realtà che promuovono e raccontano il potenziale delle donne nell’agrifood è l’associazione “Le Donne dell’Ortofrutta”. Ne fanno parte 230 donne del settore ortofrutticolo italiano. La rete è fondamentale, così come la diffusione di conoscenze, idee e progetti ad alto potenziale delle donne in agricoltura, ma non solo.
Sono stata anche una delle dieci imprenditrici italiane selezionate per il progetto EWA, un programma di formazione di 6 mesi promosso da EIT food e coordinato in italia da Future Food Institute. Iniziative di questo tipo, a cui aggiungere un contributo economico per l’avvio dell’attività, considerando le difficoltà di accesso al credito per le imprenditrici donne, costituiscono un passo fondamentale per ridurre i gap esistenti.
Se potessi avere la possibilità di avere un/una Mentor per aiutarti a far crescere la tua realtà – oltre a quelli che credo tu abbia già -, immaginandolo/a tra passato, presente e futuro, chi sceglieresti e perché?
Ho la fortuna di potermi confrontare con dei super mentor dell’Associazione Microlab e ho appena concluso un percorso di business Empowering Women in Agrifood promosso da EIT Food e in collaborazione con il Future Food Institute: mi ha permesso confrontarmi con imprenditrici di tutta Europa, oltre a migliorare di molto il mio modello di business. Sono anche affiancata dalla società di advisory Brains Capital, il cui supporto è di grande valore.
Immaginandomi altri mentor, tra passando presente e futuro, mi piacerebbe dialogare con Turner, osservare le tempeste con i suoi occhi e imparare tutto sull’imprenditoria da Madam C.J. Walker.
Oggi mi piacerebbe confrontarmi con il Prof. Mohammed Yunus economista e banchiere bengalese, fondatore della “Grameen Bank”, rispetto al tema del social business e di come la persona e l’ambiente possano essere veramente al centro delle nostre attività imprenditoriali.
In futuro vorrei un’altra mentor, visionaria e consapevole del proprio valore, che mi aiuti a farmi delle domande scomode, che sia fonte di sfide continue e scambi scintillanti. E vorrei anch’io fare da mentor ad altre aspiranti imprenditrici.
Ti chiedo di salutarci con una domanda strana e metaforica. Se dovessi regalare una delle tue box ad una o ad un sognatore che, come te, passo dopo sta costruendo un progetto di valore, che prodotti ci metteresti dentro e perché?
- Un cucchiaio di legno, per rimestare ogni tanto, per amalgamare gli ingredienti del viaggio e per togliere, quando serve
- Il Riso Carnaroli Meracinque in purezza delle sorelle Tovo, perchè sono custodi del suolo e curano con grande attenzione un prodotto così importante per la nostra alimentazione
- Delle polveri di verdure di scarto di Valentina Pressanto (presto su “Mindful Morsel”) per colorare e insaporire il viaggio
- il “Mu Mu” di Carruba, estratto puro di carruba e superfood nutraceutico ideato dalla mia mentor, Luciana Cipriani di Natura Humana, per scoprire la dolcezza di un prodotto dimenticato
- La salsa piccante fermentata Makè, con peperoncini coltivati sui colli bolognesi, perchè una volta provata non si riesce a farne a meno
- Il miso di pomodoro, basilico e lenticchie di Kejoji, perchè innovare prodotti locali è possibile ed è un esercizio meraviglioso, come dimostrato da Davide nel suo laboratorio di Reggio Emilia
- La tisana “Buon Respiro” dell’azienda Agricola La Calcina, perchè troppo spesso ci dimentichiamo dell’importanza di prenderci una pausa, di fermarci davanti ad una tazza di tisana fumante e prenderci cura di noi stessi
- Non mancherebbe un messaggio scritto a mano, perchè anche questo vuol dire prendersi cura. Infine un taccuino, di quelli che piacciono a te Valentina, per perdersi, ritrovarsi e tracciare nuovamente una nuova parte del cammino.