Luglio 15, 2025

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“Se le tue azioni ispirano gli altri a sognare di più, imparare di più, fare di più e diventare di più, sei un leader.”

Parto con la citazione di John Quincy Adams per evidenziare da subito l’obiettivo con cui scelgo di ospitare Professionisti: condividere la loro esperienza, fonte di ispirazione, di valore per chi cerca stimoli per apprendere, sognare e fare di più. Coinvolgo persone che ritengo essere leader di se stesse prima di tutto, ovvero chi fa

Per questa nuova intervista ho pensato di coinvolgere Cristina Arbini, che dal 2012 lavora fra HR e Comunicazione,  occupandosi di disegnare strategie di comunicazione esterna e interna per piccole e grandi aziende, top manager e founder. Insomma, la persona giusta per fare due chiacchiere su employer branding, employee advocay e personal branding.

Cristina Arbini: connettere, osare, crescere - guardando sempre avanti Ciao Cristina! Cercandoti online scopriamo di te che sei da sempre appassionata di persone e di comunicazione, che sei laureata in Filosofia, hai avuto alcune esperienze in agenzia e come consulente; che hai lavorato per quasi 10 anni in LinkedIn, tra Dublino e Milano, oltre che in altre due grandi aziende dove hai coordinato team global. Le tue specializzazioni sono l’employer branding – dal recruitment marketing all’employee advocacy passando ovviamente per la comunicazione interna – il personal branding e la content strategy, temi che hai sviluppato lavorando negli anni con diverse aziende di vari settori. Ho amato un motto riportato nel tuo profilo: “Non esiste il maltempo, ma solo vestiti inappropriati” (Sir Ranulph Fiennes). Cosa puoi aggiungere con un “tweet” e con un’immagine metaforica per raccontarci qualcosa in più di te?
Ciao Valentina, grazie per questa bella introduzione. In pochi caratteri aggiungerei: amo creare connessioni fra persone, abilitare relazioni e unire i puntini strada facendo. E penso che dare sia il modo migliore per ricevere.
Come immagine, scelgo gli scarponi da montagna (per stare in linea con la citazione sopra). Mi piace camminare – ma anche fermarmi, guardare il panorama e ascoltare le storie di chi incontri lungo la strada. Andare al mio passo, e guardare sempre avanti.

 Ti propongo un piccolo esercizio: disegnare la mappa dei puntini che ti hanno portato a ricoprire il ruolo di oggi, evidenziando le tappe centrali, considerando anche gli studi.
Questo esercizio mi piace moltissimo! Partiamo dalla fine, ossia dal lavoro che faccio oggi. Anzi, dai lavori:

  • Sono una content strategist freelance a supporto della comunicazione di aziende, CEO/Founder e team estesi, principalmente su LinkedIn, che considero sempre “casa mia”.
  • Sono parte di due startup a cui tengo moltissimo: Promama e Pietro. Sono realtà tech che gravitano intorno al mondo HR e employer branding, ciascuna con una mission che sento molto vicina.

Come sono arrivata qui? Sicuramente grazie al percorso fatto nelle corporate: l’interesse per il mondo HR e della comunicazione è sempre stato il filo conduttore delle mie esperienze lavorative. In LinkedIn ho coperto diversi ruoli, ma ho sempre trattato questi temi con le aziende clienti e con i prospect. Successivamente sono stata in un grande gruppo che opera nel settore risorse umane  e lì ho curato la parte branded content, PR, social media e global comm, la prima content factory di gruppo. Nell’ultima esperienza, invece, sono stata a capo dell’employer branding in una multinazionale SAAS tech, sperimentando ogni giorno cosa significhi portare innovazione su scala globale quando si parla di attrazione di talenti, retention e attivazione di community interne.
Quindi diciamo che le cose che faccio oggi sono state una delle possibili evoluzioni naturali dell’esperienza maturata in azienda.
Ma c’è dell’altro.
Penso di essere arrivata qui perché ho visto che era possibile. Ho incontrato persone che hanno lasciato le big corp per inseguire sogni, per diventare imprenditrici, per aprire la partita iva. Conosco chi ha mollato tutto per un migliore work life balance, per sostenere le proprie scelte famigliari, per realizzare i propri valori. E conosco anche chi ha fatto il percorso inverso, chi ha lavorato in proprio per qualche anno e ora lavora di nuovo in azienda. La rappresentazione conta tantissimo.

Quindi credo di essere qui anche perché ho avuto decine di esempi. E ho avuto la curiosità e la disciplina di rendere possibile una strada diversa per me stessa. Che oggi mi rende felice, ma che non è una strada a senso unico, non so se mi spiego.
Unendo i puntini, penso che i miei studi in Filosofia siano stati e continuino a essere un’ottima base per approcciarmi al lavoro, e al lavoro che continua a cambiare, in modo critico, possibilista e innovativo. Non ho mai lavorato in contesti con un playbook definito e chiare indicazioni su cosa fare. Spesso i KPIs, specialmente negli ultimi cinque anni, me li sono dovuta inventare da sola. Il pensiero laterale e la capacità di fare le domande giuste, a se stessi, in azienda, ai clienti, è stato fondamentale ed è una capacità che ho affinato molto durante gli studi.

Hai vissuto e lavorato all’estero, e da sempre collabori con colleghi e professionisti da tutto il mondo. Quali differenze hai avuto modo di riscontrare tra il nostro Paese e gli altri?
È difficile generalizzare, ma dovendo farlo ti direi che all’estero ho visto fortissima la tendenza a fare rete, ad aiutarsi e a condividere competenze e conoscenze per migliorarsi. È come se non ci fosse la necessità, per mia esperienza molto italiana, di tenere le cose per sè. La consapevolezza che con i giusti partner e le giuste connessioni siamo tutti più forti, invece, è molto più diffusa.
Inoltre ho trovato molta più facilità nell’ammettere di non sapere, di essere fallibili: dire “non lo so” senza paura di non valere abbastanza e con l’idea che nessuno è arrivato, ma che siamo tutti più bravi e meno bravi di qualcuno allo stesso tempo. E che va benissimo così.

Nell’ultimo periodo della tua vita hai vissuto dei cambiamenti importanti: nel lavoro, in famiglia (con la nascita di due splendidi bambini, tra cui Ettore che la notte di Natale ha desiderato così tanto venire al mondo che non vi ha dato il tempo di arrivare in ospedale). Come hai vissuto questi cambiamenti e, soprattutto, pensando alla tua esperienza, cosa consigli agli altri per viverli al meglio?
Fra layoff, parto in casa e pandemia, in effetti ho all’attivo una bella manciata di anni movimentati 😂.
Non penso ci sia la ricetta giusta per tutti per affrontare cambiamenti e colpi bassi. Per me funzionano questi ingredienti: 1) prendere le cose una alla volta 2) creare una routine 3) relativizzare: spesso sono solo fasi, le cose passano 4) avere una rete di persone a supporto, anche solo per ascoltarti (anzi, specialmente per quello!) senza volerti per forza “risolvere” 5) mettere i propri valori al centro: nei momenti difficili si è tentati di scendere a compromessi, a volte anche quando non è davvero necessario farlo. Interrogarsi su cosa ci serve e su cosa ci fa stare bene, aiuta a tenere la barra dritta e a evitare di compiere scelte delle quali poi ci si può pentire.

Donne, maternità e lavoro. Ti metto insieme queste tre parole e ti chiedo di rispondere con il pensiero a te più caro da passare a tutte noi persone e professionisti.
La maternità, o forse dovrei dire la genitorialita, è un passaggio di stato che può cambiare radicalmente una persona. Prendersene cura è fare un investimento verso il futuro.
Guardiamo i dati: ogni anno in Italia si dimettono e percepiscono la NASPI +40,000 persone, fra mamme (la maggior parte) e papà (trend super in crescita anno su anno), e la ragione numero uno auto dichiarata è la difficoltà di conciliare lavoro e famiglia. Sempre in Italia, ogni anno nascono meno bambini e gli anziani aumentano. Il sistema sanitario e pensionistico sono al collasso. La produttività è bassissima.
Quando dico che prendersi cura della genitorialità è un investimento verso il futuro, intendo che razionalmente e finanziariamente non possiamo permetterci di non farlo, come Paese. Come aziende, i lavoratori e le lavoratrici over 30 sono quelli skillati che poi si dice si faccia fatica a trovare. E quando li abbiamo, li allontaniamo perché non riusciamo a garantire loro la possibilità di vivere il loro ruolo di caregiver, oltre che di dipendenti. Tutto questo non ha senso.
Per fortuna lavoro con tante aziende che l’hanno capito, che fanno della flessibilità (permessi, ferie libere, hybrid o remote working, ma anche solo flessibilità oraria in entrata e uscita) il loro vantaggio competitivo. E le persone restano, arrivano, parlano bene. Questo è l’employer brand più potente, che non si può comprare.

Ti sei occupata molto di valorizzazione della diversità e, in particolar modo, di donne ed empowerment. Cosa a tuo avviso serve davvero nelle organizzazioni?
Serve spazio per lasciare che le diversità possano esprimersi. Questo può significare mille cose diverse a seconda dell’azienda e della necessità delle persone. Ma richiede questa consapevolezza, e un patto nuovo fra impresa e dipendenti.

Sei stata spesso Speaker in diversi prestigiosi eventi. Così, ho in mente una domanda “disruptive”: qual è un tema di cui ti piacerebbe parlare (o tornare a parlare) e perché?
Tutti quelli di cui ho scritto! Perché mi appassionano molto e potrei scriverne per ore.
In sintesi: il lavoro che cambia, e come puoi cambiare anche tu. Personal branding, networking, self awareness e aderenza ai propri valori come elementi chiave delle carriere non lineari.

La tua carriera è una chiara dimostrazione dell’importanza che dai al Networking. Ti chiedo però di condividere con noi la tua visione e una storia particolarmente interessante che dimostri il valore di fare rete
Ci sono tanti modi di fare networking e tanti motivi per farlo. Io lo faccio con molta naturalezza e senza troppa strategia, per due ragioni:

  • la prima è che per me conoscere persone e chiacchierare è il modo migliore di imparare e uscire dalla mia bolla, allenando la curiosità;
  • la seconda è che mi piace trovare punti in comune fra persone, progetti e pensieri. Come dicevo sopra, adoro davvero creare connessioni e aprire nuove strade per me e per gli altri.

Un esempio sul valore di fare rete? Tutti i lavori che ho svolto, li ho trovati tramite networking. E ora che sono freelance, a maggior ragione!

Non posso non chiedere proprio a te qualche piccolo consiglio che a tuo avviso può fare la differenza nell’utilizzo di un social per il lavoro, come LinkedIn
Su LinkedIn vale ciò che vale anche offline, nel mondo del lavoro “vero”, dove è diventato fondamentale raccontarsi, portare risultati, condividere esperienze e insegnamenti. LinkedIn è “solo” un posto come un altro (ma con un potenziale infinitamente alto) in cui farlo.

Per concludere, ti chiedo di salutarci con una canzone che possa ispirarci nel lavoro quotidiano, esplicitando anche il motivo che ti porta a sceglierla

I’m walking on sunshine 🎶
Il mondo del lavoro è attraversato da un sacco di amarezza e sfiducia fra ghosting, gli spauracchi degli ATS, degli algoritmi e dell’AI, i layoff che ormai riguardano tanti, la paura dell’instabilità… Se ci concentriamo su questi pezzi, finiamo inevitabilmente schiacciati.
Questa è una canzone che mi dà la carica e mi ricorda quanto sono fortunata e privilegiata. Cosa che si applica secondo me a tantissime persone, ma capita che ce lo si ricordi solo quando ci succede qualcosa di davvero brutto. Quindi non aspettiamo quel momento! Troviamo il bello, alziamo lo sguardo ancora più in alto e ascoltiamo qualcosa di allegro. 

Grazie Cri per esserti raccontata; sono fortunata ad averti incontrata nel mio cammino, fiera e orgogliosa di averti come amica!

– Ritratti di Cristina Arbini Cristina Arbini: connettere, osare, crescere - guardando sempre avanti
– Foto di copertina di Slava Auchynnikau su Unsplash

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