Settembre 29, 2025

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“Se le tue azioni ispirano gli altri a sognare di più, imparare di più,  fare di più e diventare di più, sei un leader.”

Parto con la citazione di John Quincy Adams per evidenziare da subito l’obiettivo con cui scelgo di ospitare Professionisti: condividere la loro esperienza, fonte di ispirazione, di valore per chi cerca stimoli per apprendere, sognare e fare di più. Coinvolgo persone che ritengo essere leader di se stesse prima di tutto, ovvero chi fa accadere le cose, a partire dal proprio successo (che per me è il raggiungimento dei propri obiettivi professionali, ben definiti) e che non aspetta l’opportunità ma la costruisce.

Per questa nuova intervista ho pensato di coinvolgere Fabio Moioli, Leadership & AI Advisor. Passionate about AI since 1998, but even more about Human Intelligence since 1975.

Fabio Moioli: “Leadership advisor, tra intelligenze umane e artificiali”Ciao Fabio, il tuo job title ci offre una prima impressione e sicuramente già diverse persone tra quelle che ci stanno leggendo ti conoscono come un punto di riferimento sull’intelligenza artificiale e oltre. Ma se dovessi presentarti senza etichette o ruoli, da dove cominceresti?
Mi piace pensare a me stesso prima di tutto come a una persona curiosa. La curiosità è stata la costante che ha guidato tutta la mia vita, sia professionale che personale. Sono nato nel 1975 e già da ragazzo mi affascinavano i mondi paralleli delle scienze umane e della tecnologia: da un lato la filosofia, le relazioni, la psicologia; dall’altro l’ingegneria, l’informatica, e più tardi le reti neurali. Ho sempre cercato di costruire ponti tra questi mondi. Al di là dei ruoli, credo che quello che mi definisce sia la volontà di imparare continuamente e di condividere ciò che imparo con gli altri, per generare un impatto positivo.

Mi piace usare immagini simboliche per far emergere lati inediti delle persone. Se dovessi descriverti con una metafora visiva, quale sceglieresti e cosa racconta di te?
Mi vedo come un “ponte sospeso”. Non il più appariscente, ma solido, e costruito per collegare due rive che sembrano lontane: tecnologia e umanità. Un ponte che non serve a sé stesso ma a chi lo attraversa, perché il suo scopo è permettere agli altri di andare oltre, di scoprire nuovi territori. È una metafora che rappresenta il mio ruolo nel mettere in dialogo AI e leadership, scienza e persone, futuro e presente. Tale ponte rappresenta inoltre il mio lavoro di connettere ruoli con persone adatti a ricoprirli, come executive search per Spencer Stuart.

Quali scelte o eventi hanno fatto davvero la differenza nel tempo, anche in modo inaspettato?
Ci sono stati alcuni momenti chiave. Uno è stato scegliere di lasciare percorsi “sicuri” per abbracciare sfide nuove: per esempio, dopo anni in McKinsey, Ericsson, Capgemini e poi come Head of Consulting in Microsoft Western Europe, ho deciso di rimettermi in gioco entrando in Spencer Stuart. È stata una scelta che mi ha permesso di spostare il focus dall’essere leader nelle aziende a supportare altri leader per le aziende. Un altro evento importante è stato il 1998: l’anno in cui ho iniziato a occuparmi seriamente di AI. All’epoca era un tema per pochi, quasi di nicchia, ma quella scelta di “andare controcorrente” ha fatto tutta la differenza oggi.

Hai più di 140.000 follower solo su LinkedIn. Parlare di AI, leadership e futuro è affascinante ma complesso: cosa ti entusiasma di più e cosa ti sfida maggiormente nella divulgazione?
Mi entusiasma il fatto che ogni giorno ricevo messaggi da persone che mi raccontano di aver trovato in un mio post un’ispirazione concreta, un’idea nuova, o semplicemente un motivo per non sentirsi spaventati dalla tecnologia. È il senso del mio lavoro di divulgazione. La sfida è doppia: semplificare senza banalizzare e mantenere equilibrio tra entusiasmo e realismo. L’AI non è né la panacea né il mostro che ci distruggerà: è uno strumento potentissimo che va capito, guidato e reso accessibile.

 Sei un grande appassionato, divulgatore e autorità riconosciuta sul tema ma io ti chiedo una visione un po’ diversa e “semplice”: come spiegheresti a un bambino l’intelligenza artificiale?
Direi così: l’AI è come un grande quaderno che impara a disegnare copiando milioni di disegni. All’inizio sbaglia, poi diventa bravissimo a riconoscere forme e a inventarne di nuove. Ma c’è una differenza importante: a quel quaderno puoi insegnare tantissimo, ma non proverà mai emozioni. Le emozioni, la creatività autentica, il “perché” delle cose… quello resta solo nostro, degli esseri umani.

 Cosa dovrebbe allenare chi oggi vuole restare aperto, curioso e non spaventato di fronte all’AI?
Due cose: la mentalità e le competenze. La mentalità vuol dire coltivare apertura e coraggio: non avere paura di fare domande, di sperimentare, di usare un nuovo strumento. Le competenze vuol dire sviluppare capacità ibride: comprendere i principi dell’AI ma anche allenare empatia, creatività e pensiero critico. L’equilibrio tra queste dimensioni sarà il vero “muscolo” da allenare.

 Qual è il rischio più grande che vedi oggi nell’approccio collettivo all’intelligenza artificiale?
Il rischio principale è quello di delegare senza capire. Molti pensano che basti “avere un algoritmo” per risolvere problemi complessi, dimenticando che l’AI riflette i dati e i valori che noi le forniamo. Se non costruiamo consapevolezza diffusa, rischiamo una società in cui pochi controllano le tecnologie e molti ne subiscono le conseguenze. L’altro rischio è la polarizzazione: chi esalta l’AI come magia e chi la demonizza. Entrambe le posizioni impediscono di coglierne davvero il potenziale.

 Secondo te, può l’AI ispirare nuovi modelli di leadership? E se sì, in che direzione?
Sì, e in parte lo sta già facendo. La leadership tradizionale era basata su controllo e informazione: il leader sapeva più degli altri. Oggi, con AI e dati accessibili a tutti, la vera leadership diventa agilità cognitiva, empatia, umiltà, capacità di guidare persone e algoritmi insieme. L’AI obbliga i leader a spostarsi dal “sapere” al “saper orchestrare”, dal dare risposte al fare domande giuste, dal comandare all’ispirare.

In un mondo dove tutto sembra ruotare attorno all’AI, esiste ancora innovazione “fuori dal perimetro”? Dove vale la pena guardare?
Assolutamente sì. Credo che il futuro non sarà mai fatto di una sola tecnologia, ma della convergenza. Pensiamo a biotecnologie, neuroscienze, energie rinnovabili, robotica, materiali avanzati. L’innovazione vera spesso nasce “ai margini”, negli spazi in cui discipline diverse si contaminano. L’AI è un acceleratore incredibile, ma vale la pena guardare sempre anche oltre, ai bisogni umani che restano immutati: salute, relazioni, sostenibilità, cultura.

Ci saluti con un consiglio che avresti voluto ricevere all’inizio del tuo percorso e che oggi dai volentieri?
“Non aspettare che arrivi l’opportunità perfetta: costruiscila tu.” È un consiglio che ho capito col tempo. Spesso siamo portati a pensare che ci sia un momento giusto o un ruolo giusto da attendere. In realtà, la vera forza è creare contesti, mettersi in gioco, avere il coraggio di cambiare direzione quando serve. E soprattutto: coltivare le relazioni umane, perché nessun successo ha senso se non lo puoi condividere.

 

– Ritratti di Fabio Moioli
– Foto di copertina di Sander Lenaerts su Unsplash

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