“Se le tue azioni ispirano gli altri a sognare di più, imparare di più, fare di più e diventare di più, sei un leader.”
Parto con la citazione di John Quincy Adams per evidenziare da subito l’obiettivo con cui scelgo di ospitare Professionisti: condividere la loro esperienza, fonte di ispirazione, di valore per chi cerca stimoli per apprendere, sognare e fare di più. Coinvolgo persone che ritengo essere leader di se stesse prima di tutto, ovvero chi fa accadere le cose, a partire dal proprio successo (che per me è il raggiungimento dei propri obiettivi professionali, ben definiti) e che non aspetta l’opportunità ma la costruisce.
Per questa nuova intervista ho pensato di coinvolgere Irene Bosi, Head of Marketing | Digital Business Consultant | Business Coach | Event Director | Speaker
Ciao Irene, ci racconti chi sei?
Mi definisco una business woman atipica. Business woman perché mi identifico molto con il lavoro che faccio. Fatico a vedermi senza questa componente. Atipica per il modo in cui lo faccio. Ho avuto modo di frequentare ambienti molto diversi tra loro che mi hanno permesso di sviluppare una “vision” di vita ben specifica.
Da un lato le grandi business school e le aziende multinazionali leader nel loro settore in cui ho lavorato hanno generato in me un grande interesse nel crescere professionalmente sempre di più. Dall’altro, il tempo passato con lo zaino in spalla ad esplorare il mondo, i vari mesi di volontariato fatti in Sudamerica, le esperienze di studio e lavoro all’estero, i vari corsi che ho fatto da circo a corsi per diventare insegnante di nuoto ad acrobatica, gli ambienti di artisti e “fricchettoni” che ho sempre frequentato, il surf e tante altre cose hanno fatto sì che mi innamorassi terribilmente di certi aspetti della vita oltre che del lavoro.
Il mio essere atipica consiste nell’essermi costruita una vita che da un lato mi permette di avere una carriera di cui vado fiera e dall’altro di avere la vita che sognavo: fronte mare, libera da orari di lavoro rigidi e a contatto con persone che non hanno nulla a che vedere con il contesto in cui lavoro. Ho imparato a giocare rispettando le regole del gioco apprese all’università e nelle grandi aziende ma a modo mio, cioè cercando di non tradire mai tutto ciò di cui sono innamorata.
Se ti dovessi presentare con un’immagine metaforica quale sceglieresti e perché?
Un camaleonte. Mi piace mimetizzarmi in ambienti tanto diversi tra loro, dai CDA di associazioni di top manager ai centri sociali, dalla spiaggia a prestigiosi eventi di settore in cui spesso sono coinvolta.
Tutta questa diversità mi arricchisce da morire e mi fa sentire completa.
Ci racconti qualcosa in più del tuo percorso di studi, fino a ricondurlo alla tua esperienza lavorativa attuale (ti sto chiedendo una sorta di “teoria dei puntini” alla Steve Jobs)?
Ho avuto un liceo molto tormentato, cambiavo scuola ogni anno collezionavo debiti ogni estate ma poi me la cavavo sempre. Ero la classica che ha potenziale ma non si impegna ed era vero, ero molto fissata con lo sport, mi piaceva frequentare centri sociali, organizzare attività e insomma far tutto fuorché mettermi sui libri a studiare. All’università ho capito che però se non studiavo avrei avuto una vita con decisamente meno possibilità e io volevo essere libera di scegliere, quindi, mi sono rimboccata le maniche e negli anni dell’università sono sempre stata nel top 10% della mia classe. Essere riuscita a portare a termine con successo gli studi universitari non è stato importante solo per la cultura che me ne è derivata e per la borsa di studio che ha pagato parzialmente le tasse, ma soprattutto per l’iniezione di sicurezza in me stessa e nelle mie capacità.
Ce la potevo fare!
Attenzione però: non ho fatto università tradizionali che prevedessero lo studio di mega libroni teorici ma ho cercato università che potessero offrire un metodo di studio più allineato al mio modo di essere ovvero molto pratica e ho avuto la fortuna di avere alle spalle una famiglia che in questo mi ha sostenuto moltissimo.
Ho poi firmato il mio primo contratto di lavoro pochi mesi prima di terminare il master con P&G, per me la miglior scuola di marketing al mondo. Al colloquio abbiamo parlato principalmente dei progetti di volontariato che organizzavo le estati, degli sport, dei viaggi e dei periodi di vita all’estero.
Senza studi universitari molto solidi sicuramente non sarei mai arrivata a quel colloquio ma senza le esperienze di vita che ho fatto probabilmente non lo avrei mai superato.
Ci sono, e se sì quali sono, dei punti di contatto che metaforicamente vedi tra il lavoro e la tua grande passione del surf?
C’è il classico discorso del surf che ti insegna ad uscire dalla tua zona di comfort e che questo impatta anche il modo in cui uno poi affronta la vita.
In realtà per me è un po’ il contrario nel senso: il lavoro è sicuramente l’area della mia vita dove mi sento più serena a prendere rischi, ad uscire dalla mia zona di comfort perché, come dicevo parlando dei miei studi, ho una grande consapevolezza delle mie abilità e capacità di imparare bene o male tutto (se mi piace).
Mi piacerebbe essere così lanciata anche nel surf dove invece di rado esco dalla mia zona di comfort e preferisco viverlo come una coccola, una goduria, un qualcosa che mi fa stare bene ma dove non sono obbligata a performare.
Sei un’italiana che vive in Spagna, in un luogo che ami. È stato facile il trasferimento? E oggi, che lavori molto in Italia, come impatta questa scelta di vita?
Il trasferimento è stato molto facile, tutto ciò che ho si chiude in tre scatoloni che negli ultimi tre anni ho portato in giro per il mondo con il mio furgoncino quindi si, il trasferimento facile.
Quello che invece non è stato e non è per niente facile è gestire i ritmi che richiede vivere in Spagna e voler tornare in Italia per lavoro.
I ritmi sono intensi, spesso stressanti, sveglie presto aeroporti ecc., ma credo ne valga incredibilmente la pena. Farei molta più fatica ad esser costretta a vivere in una città dove non mi sento a casa, che fare questo continuo tram tram. Non è per tutti, dipende da come sei fatto e dalle tue priorità.
Nei progetti che segui come marketer al centro c’è il benessere. Qual è tua personale visione di benessere?
Benessere per me è sviluppare una forte consapevolezza rispetto ciò che ti fa stare bene senza farsi influenzare troppo da ciò che la “società” o il contesto in cui viviamo ci suggerisce come benessere. Una volta sviluppata questa consapevolezza, è importante essere concreti e cercare di instaurare tutta quella serie di abitudini che crediamo contribuiscano al nostro benessere con la stessa diligenza con cui gestiamo i nostri progetti lavorativi. Io quando ho periodi intensi di lavoro dove so che potrei rischiare di passare 12 ore al giorno al pc senza muovere mai il sedere, prendo il calendario e mi blocco degli slot per fare attività fisica.
Benessere è per me conoscere ciò che ti fa stare bene e avere la diligenza di far sì che questo sia parte della tua routine.
Organizzi grandi eventi e allora ti chiedo: come si possono creare eventi impattanti che lascino davvero un segno nella mente e nei cuori delle persone?
Credo che gli elementi fondamentali per creare eventi impattanti siano due:
- Sviluppare un prodotto esclusivo, immersivo e coinvolgente. Un evento, per lasciare davvero un segno nelle persone, è importante che offra qualcosa che le persone non avrebbero modo di vivere in altre occasioni. Per fare questo, credo sia fondamentale che, in primis, le persone che organizzano questi eventi siano persone che nella loro vita cercano continuamente nuove esperienze da vivere. Se penso a “Kalemana Festival”, il festival che organizzo, molte delle attività che proponiamo sono infatti frutto delle esperienze fatte da me, Denise e altre persone che contribuiscono allo sviluppo di questo prodotto
- Sviluppare una forte community legata all’evento. Questo è un lavoro dannatamente difficile e lungo da fare ma che fa una differenza abissale e che credo sia proprio uno dei vantaggi competitivi di “Kalemana Festival” rispetto ad altri format dello stesso settore. Quando si riesce a creare una forte community attorno ad un evento, si esce dalle classiche regole competitive perché le persone, no matter what, al tuo evento ci vogliono venire perché sanno che partecipare a quel determinato evento vuol dire esser parte di qualcosa. E questo è un drive fortissimo specialmente in un mondo come quello di oggi dove il bisogno di “affiliazione”, il bisogno di sentirsi parte di qualcosa è veramente molto forte nelle persone. Come lo si fa? In primis ricordandoci che “your vibe attracts your tribe”, suggerisco di evitare troppi filtri e formalismi e cercare di costruire rapporti veri con le persone. Gli eventi sono un prodotto che si sviluppa grazie all’intersezione di tante persone, non materie prime. Nel farlo è fondamentale che qualsiasi persona che lavora all’evento trasudi quei valori. Oltre questo è importante fare un grande lavoro di brand positioning per assicurarsi che al proprio evento partecipi un gruppo segmentato di persone, in altre parole, assicurarsi che al proprio evento partecipino persone affini tra loro, che condividono valori e bisogni.
Come scegli le persone con cui approfondire la conoscenza e con cui portare avanti Networking di valore?
Generalmente le persone che più mi “attirano” sono quelle entusiaste di quello che fanno, quelle a cui proprio brillano gli occhi quando ne parlano, esattamente come te Valentina 🙂
Oltre questo, mi piace molto relazionarmi con persone che hanno tanti anni di esperienza più di me, che vengono dalla “vecchia scuola” e condividono punti di vista e modi di lavorare molto diversi rispetto a quelli delle persone con cui lavoro nel mio day by day.
A chi sta iniziando ora a “surfare” nel mondo del lavoro che consigli vuoi dare? Te lo domando anche perché hai a cuore e insegni temi come il Personal Branding e il Career coaching
Che bella domanda, ne potrei parlare per ore ma cercando di essere sintetica mi focalizzo su tre punti che credo siano fondamentali:
- Comprendere l’importanza di conoscere le “regole del gioco” ovvero come funziona il mondo del lavoro, come fare ad ottenere ciò che vuoi. Credo che ognuno di noi debba trovare la propria strada. Ma che sia impossibile vincere seguendo la propria strada se non si ha chiaro come funziona il mondo che ci gira intorno
- Cercare di sviluppare l’arte della consapevolezza, capire quali sono i nostri punti di forza, dove portiamo valore, in che contesto vogliamo lavorare, che vita vogliamo vivere, ecc. Il lavoro influenza moltissimo la nostra felicità, è quindi fondamentale prendere scelte consapevoli ed allineate al nostro modo di essere e a quello che vogliamo per il nostro presente e futuro. Se uno non è in grado di capire sè stess* e qual è il suo piano di vita, allora consiglio di fare tante esperienze, possibilmente anche molto diverse tra loro, per capire cosa davvero vi piace e dove date il meglio di voi. Fare tante esperienze diverse è davvero l’unico modo per conoscere voi stessi! Per capire cosa amate, cosa odiate, in che contesto volete lavorare, in che modo volete vivere, cosa vi fa brillare gli occhi.. Quindi non siate pigri ed esplorate il mondo per trovare la situazione più ideale per voi
- Concentrarsi sui propri punti di forza: in un mondo con livelli di competizione alti come oggi, l’unico modo per emergere è questo. Il mio consiglio è: se avete punti di debolezza che non sono funzionali al lavoro che volete fare, ignorateli. Se avete punti di debolezza che però sono funzionali a ciò che volete fare, cercate di raggiungere almeno un livello accettabile e poi mettete tutta la vostra forza nel rafforzare quelli che sono i vostri punti di forza e diventate i migliori in ciò che amate fare.
Ricordatevi sempre che il lavoro che vi renderà più felici sarà quello che permette un’integrazione perfetta tra i vostri talenti, personalità e ciò che amate con ciò che vi fa guadagnare un buon salario e di cui il mercato ha bisogno.
Ti chiedo di salutarci con una canzone che possa ispirarci nel nostro quotidiano professionale, quale ci dedichi e perché?
“Roar” di Katy Perry, che poi lei canta con un entusiasmo pazzesco. È una canzone dove l’artista incoraggia le persone a lottare per le proprie convinzioni e a non farsi scoraggiare dagli altri. Incita le persone a ritrovare la forza interiore per migliorarsi e ad essere fieri della propria identità senza temere il giudizio altrui. Dovremmo essere fieri di noi stessi e accettare che possiamo essere ostacolati da altri, ma possiamo farcela grazie alla resilienza.
Cara Irene, grazie a te, se sei in questo blog è perché al primo istante abbiamo riconosciuto quella stessa luce negli occhi e quell’entusiasmo che ci fa pensare che tutto sia possibile (oltre al forte allineamento di vita business ma vista mare). E chiudo con una tua foto che rappresenta quell’altra parte di vita molto importante oltre il lavoro.
– Ritratto di Irene Bosi
– Foto di copertina Akin Cakiner su Unsplash