“Se le tue azioni ispirano gli altri a sognare di più, imparare di più, fare di più e diventare di più, sei un leader.”
Parto con la citazione di John Quincy Adams per evidenziare da subito l’obiettivo con cui scelgo di ospitare Professionisti: condividere la loro esperienza, fonte di ispirazione, di valore per chi cerca stimoli per apprendere, sognare e fare di più. Coinvolgo persone che ritengo essere leader di se stesse prima di tutto, ovvero chi fa accadere le cose, a partire dal proprio successo (che per me è il raggiungimento dei propri obiettivi professionali, ben definiti) e che non aspetta l’opportunità ma la costruisce.
Per questa nuova intervista ho pensato di coinvolgere Matteo Cocciardo, Co-founder and CEO @In-recruiting | HR Tech & Talent Acquisition Tech | Artificial Intelligence (AI) for HR
Ciao Matteo, cercandoti in rete possiamo sapere di te che sei laureato in ingegneria gestionale al Politecnico di Torino, nonché il CEO e fondatore di Intervieweb, HR Tech company basata sullo sviluppo di software e soluzioni cloud-based dedicata al mondo HR. Sei fondatore di In-recruiting, la piattaforma italiana nata nel 2009 e specializzata nelle strategie di attrazione e selezione del personale, recentemente acquisita dal Gruppo Zucchetti, leader di mercato IT italiano quindi motivo di grande orgoglio, considerando che essere acquisiti era un vostro “sogno” nelle slide dei primi pitch fatti nel 2009. Nel 2018 hai creato il primo osservatorio sull’HR Tech allo scopo di monitorare la Digital Transformation nel settore HR delle imprese. Cosa puoi aggiungere per raccontarci qualcosa in più di te?
Pensando al 2008 direi testardo, incosciente e innamorato dell’iniziativa. Mi spiego, il 2008 è l’anno in cui ho deciso di costituire la società, quindi prima ancora o nel corso di una grande crisi finanziaria e dove, invece di assumere, le aziende licenziavano. Io volevo vendere un software per gestire le selezioni…quindi il periodo peggiore in cui partire, potrebbe essere paragonato all’apertura di una discoteca a marzo 2020, con il COVID che per due anni non ha permesso alla gente di andare a ballare…
Sono andato avanti contro ogni pronostico o favore del mercato; all’inizio non avevo neanche un grandissimo appoggio da parte di tutta la mia famiglia per motivi più che validi: ancora non si parlava tanto di startup e, in più, nessuno di loro aveva esperienze, spirito o propensioni all’impresa. La mia è una famiglia assolutamente normale, per intenderci sono stato il primo laureato in casa. Ho portato avanti l’idea, scegliendo l’ignoto, pur con la mia razionalità, passando oltre alle offerte di lavoro che, in quanto laureando in ingegneria gestionale, ricevevo come i miei compagni di studio.
A 23 anni potevo permettermelo, anche grazie al contesto in cui vivevo: ero giovane, fortemente motivato e appassionato e ho così deciso di lanciarmi senza pensare troppo ai lati negativi, nonostante l’effettivo periodo complicato di partenza. In più non avevo una famiglia da mantenere. L’ho fatto con il sogno di portare un beneficio alle imprese (e indirettamente a chi è alla ricerca di un lavoro), con il desiderio di crescere professionalmente e non mi interessavano molto gli aspetti economici: i soldi non sono mai stati la mia grande spinta, come non lo è mai stata la notorietà. Sono sempre stato guidato dalla passione. Di questo non posso che ringraziare i miei genitori per la loro educazione ed esempio.
La prima domanda che ho per te è come è nata, da ingegnere, la tua passione nelle Risorse Umane? Oggi con tutta l’attenzione che si sta diffondendo sui dati e sulla trasformazione digitale si potrebbe quasi intuire ma tu hai iniziato diversi anni fa quando, lo dico volutamente provocatoriamente, il tema era anche lontanissimo dalle solite mode…
Assolutamente per caso, senza una vera motivazione iniziale.
Durante il mio secondo anno di studi in ingegneria ho deciso di entrare nell’Associazione JEToP, una Junior Enterprise del Torino Politecnico, un network internazionale di associazioni studentesche di stampo economico e ingegneristico, che permette di mettere in pratica gli apprendimenti, quindi facilita esperienze simil-lavorative. Ai tempi, nel 2003, JEToP si occupava di organizzare uno dei principali Career Day italiani – “Carriera&Futuro” – e io, nell’organizzazione, mi occupavo degli aspetti commerciali e di sviluppo. Parliamo di un evento a cui partecipavano ogni anno circa 100 aziende medio-grandi e 7-8.000 persone nei due giorni di Career Day a Torino. Nello specifico, io seguivo le relazioni con le aziende e con i professionisti HR interessati a trovare nuovi talenti. Questa attività l’ho seguita fino al 2008, conoscendo e coinvolgendo diverse aziende italiane ed estere. Così ho iniziato a interagire, come venditore di servizi, con questo mondo a me distante.
Con il mio background ingegneristico e grazie a questa esperienza, negli anni ho cominciato a pensare modi per efficientare il recruiting e la selezione. Vedevo lo spreco di tempo e di soldi nei processi tradizionali di ricerca e desideravo digitalizzarli e ottimizzarli.
Grazie al percorso di studi in ingegneria gestionale mi sono interessato e avvicinato a dei software di general management, sistemi che simulavano la gestione di vista di un azienda attraverso dei business game ho iniziato a immaginare di applicarli nei processi di selezione del personale. Dopo varie analisi su un eventuale sviluppo di un software proprietario, decisi di collaborare con una società che già organizzava a livello europeo una competizione basata su un software di business game e creai l’evento “Business Competition” a Torino. Mi occupai di trovare 15 squadre composte da 5 persone e trovare aziende che fossero interessate a sponsorizzarle, ovvero avere dei recruiter che potessero seguire la propria squadra per 5 settimane partecipando quindi agli incontri in cui il team lavorava alla simulazione di gestione aziendale: il grande valore aggiunto era che i recruiter potevano valutare le doti di leadership dei vari candidati, le competenze soft e reazione allo stress. Fu la prima volta che compresi come strumenti tecnologici nuovi potessero essere applicati in un processo di selezione che in quell’epoca era super tradizionale, per non dire arcaico: il feedback delle aziende fu altissimo e molti candidati vennero assunti.
Passo dopo passo tra queste prime iniziative nel recruiting, ho iniziato davvero ad appassionarmi di questo mondo e nel 2006-2007 mi si è accesa definitivamente la lampadina: realizzare un software cloud per raccogliere in modo digitale i CV (ai tempi il processo era ancora molto legato al cartaceo, nonostante qualcosa sul mercato ci fosse già in termini digitali), poi fare pre-colloqui e interagire a distanza con l’obiettivo di far risparmiare tempo e soldi sia all’azienda (permettendo loro di vedere più persone in meno tempo), ma anche ai candidati. Decisi di chiamare la società e il software “Intervieweb” perché credevo che poter realizzare colloqui online potesse essere una leva vincente. Dopo pochi mesi cambiai il nome del prodotto in “In-recruiting” perché mi resi conto di come non fosse assolutamente chiaro per le imprese il vantaggio offerto da quella funzionalità e di come si perdesse l’innovazione del resto della tecnologia da noi proposta.
Devo aggiungere altri pezzi importanti che hanno contribuito sicuramente all’idea o nell’inizio del percorso:
- la Start Cup Competition, dove nell’edizione del 2008 siamo rientrati tra le startup vincitrici e quindi abbiamo ottenuto l’accesso nelle I3P del Politecnico di Torino, l’incubatore delle imprese;
- il corso di gestione delle risorse umane, facoltativo all’interno di ingegneria gestionale, che ho deciso di intraprendere per alimentare la passione HR;
- il percorso di formazione dal taglio HR promosso dall’azienda, di cui sono stato nominato Brand Ambassador presso il Politecnico di Torino;
- la mia passione per i giochi di simulazione di gestione, tra divertimento e apprendimento. Ho ricevuto il primo computer dai miei genitori in seconda media e i miei giochi preferiti sono sempre stati quelli di tipo manageriali rispetto a quelli di ruolo.
Ti propongo un piccolo esercizio: disegnare la mappa dei puntini che ti hanno portato a ricoprire il ruolo di oggi, evidenziando le tappe centrali, considerando anche gli studi.
In parte ho già risposto prima. Direi l’ingresso in JEToP e l’organizzazione dei Career Day e del Business Game, come l’essere Brand Ambassador della Shell al Politecnico di Torino e la vittoria della Start Cup, come detto.
Un altro tassello casuale che ha influito e che posso aggiungere risale al Natale del 2005: il TOROC, il Comitato per l’Organizzazione dei XX Giochi Olimpici Invernali Torino 2006, contattò JEToP per sapere se qualcuno fosse interessato a lavorare all’interno delle Olimpiadi. Mi hanno proposto di fare il responsabile Waste&Cleaning, ovvero responsabile dei servizi delle pulizie e smaltimento rifiuti presso il sito olimpico di Pragelato Plan, dove si svolgevano le gare di sci di fondo. Non mi interessava tanto il lavoro quanto la grande opportunità, a 22 anni, di poter gestire un team in un contesto internazionale, nel corso di un evento così importante. A fine aprile dello stesso anno, quindi al termine di questa esperienza iniziata a gennaio, tornato a Torino e con ormai il secondo semestre accademico praticamente perso, ho deciso di partecipare ad un bando per un master di cinque mesi in “Business Planning”; il mio obiettivo qui era acquisire competenze di gestione impresa. E questa è stata anche una bella occasione per conoscere tanti imprenditori.
Nel 2007 ho poi partecipato al programma ERASMUS, svolgendo un semestre a Grenoble (Francia) presso l’Institut Polytechnique de Grenoble, un’esperienza che mi ha permesso di imparare una nuova lingua e vivere in un contesto internazionale.
Altre esperienze, queste, che mi hanno consentito di sviluppare competenze professionali e gestionali, che a distanza di anni mi sono servite nel lavoro quotidiano e per la costruzione di Intervieweb.
Come spiegheresti l’utilità di In-recruiting, quindi i servizi offerti alle aziende con parole semplici?
È un sistema gestionale usato da aziende, agenzie per il lavoro e pubblica amministrazione per ottimizzare tutti i processi legati alla selezione dei candidati, dalla pubblicazione dell’offerta, all’assunzione.
Permette di automatizzare tantissime attività, anche di comunicazione; di ricercare facilmente e in modo approfondito informazioni presenti nei database aziendali; di gestire i dati dei candidati secondo la normativa europea di GDPR, quindi di evitare di incorrere in sanzioni; di analizzare i risultati e avere sempre sotto controllo il processo; di identificare rapidamente i candidati più idonei utilizzando, ad esempio, la ricerca semantica. In-recruiting, così come altri software di Talent Acquisition presenti sul mercato, è uno strumento indispensabile per chi si occupa di recruiting.
Da anni segui e studi i trend nel mondo Risorse Umane, con un forte focus sugli aspetti Tech. Quali sono al momento per te quelli più rilevanti e se e come sono cambiati con la pandemia?
Nel mondo delle Risorse Umane certamente il Covid-19 è stato l’evento che ha obbligato le aziende a digitalizzare tutti i processi HR, soprattutto le piccole e medie imprese che al massimo già gestivano in maniera digitale i processi di Payroll e l’anagrafica dipendenti. Dal 2020 si è visto un grande interesse per gli aspetti legati alla selezione, alla valutazione, al feedback e engagement, al well-being, solo per citarne alcune..
Un altro grande trend è sicuramente quello dell’intelligenza artificiale utilizzata nei processi di Talent Acquisiton e di Human Capital Management; c’è però ancora un po’ di diffidenza su questa tema in quanto tocca molti aspetti etici e legali, punti critici da tenere in considerazione.
C’è poi un fortissimo trend legato reportistica e dati (Business Intelligence e Data Analytics): questo perché si è passati dall’avere dati cartacei a digitali, fenomeno che ha fatto emergere l’importanza del dato e delle informazioni da studiare (sia dei candidati, che delle proprie persone) per prendere decisioni, quindi l’esplosione dei processi e modelli Data Driven.
Si riscontra, finalmente, anche un focus importante sulla Persona: le aziende hanno iniziato a capire che effettivamente è importante prestare molta attenzione alle persone nelle proprie organizzazioni, trovare le giuste competenze soft, motivarle, prendersi cura ed evitare di perderle, soprattutto oggi che con il lavoro da remoto ci sono molte più possibilità per candidati e lavoratori. Questo sta portando ad una crescente offerta di proposte per supportare l’analisi delle performance e il well-being, ad esempio con l’ingresso di psicologi in azienda. Assumendo il tema della Retention maggiore rilevanza, sta diventando importante poi riuscire a prevedere i malcontenti o le criticità prima che le persone escono. In generale stiamo comunque vivendo un momento d’oro per il settore HR Tech e lo dimostrano anche gli investimenti fatti in questo settore: nel 2021 sono stati investiti globalmente 17.9 miliardi di $ in società HR Tech contro i 5 miliardi di $ nel 2020.
Con In-recruiting avete fatto davvero un percorso molto bello, migliorando costantemente il vostro ATS Applicant Tracking System (ATS)/Recruiting e i servizi ad esso connessi e riuscendo ad entrare a far parte, come anticipato in apertura, nel Gruppo Zucchetti. Quali sono stati a tuo avviso gli elementi che hanno permesso questa vostra crescita e che consiglieresti alle altre realtà innovative come leve da perseguire?
Non abbiamo iniziato nel periodo temporale migliore (crisi finanziaria globale del 2008), siamo partiti molto giovani e in un mercato – quello della Talent Acquisition – ancora non maturo. Quindi ci abbiamo messo molto a crescere e non era assolutamente facile in quegli anni (2009-2010) suscitare l’interesse di investitori. Questa difficoltà, però, ci ha insegnato a non sprecare nulla per riuscire a sopravvivere. Ogni scelta è stata legata esclusivamente al cliente, evitando anche la più semplice visibilità e perseguendo sempre modalità concrete di entrare in contatto con i clienti. Abbiamo investito il 99% del tempo a parlare con clienti e a sviluppare il prodotto, piuttosto che dedicare il 90% del tempo a relazionarci con investitori o a partecipare ad eventi di pure visibilità. Non è certamente la strada migliore e la più semplice, ha comportato molti sacrifici ma nel momento in cui l’ho fatto avevo 25 anni, , vivevo con mia mamma e potevo permettermi anche di non guadagnare…e mi ritengo quindi fortunato di avere avuto questa occasione. Non voglio passare il messaggio “non cercate capitali” ma direi di focalizzarsi soprattutto sullo studio del mercato, sul prodotto, sui clienti finali e parlare la maggior parte del tempo con loro e con chi, partner o fornitori, è orientato esclusivamente al proprio business. Poi avere i giusti capitali per avviare il business e sostenerlo è fondamentale e in questo momento fortunatamente è più “semplice” riuscire a fare dei round i investimento se si ha una buona idea e un team solido: se però non si ha mai avuto a che fare con un fondo di investimento è importante prepararsi molto bene perché richiede un effort costante di relazione con gli investitori e soprattutto riuscire a rispettare gli obiettivi concordati.
Pensando alla nostra esperienza, consiglierei anche di fare dei pivot, piccoli avanzamenti di prodotto rapidi, portarli in produzione, testarli con i clienti e correggerli velocemente, far percepire che si è veloci a mettere a terra le idee e farle funzionare. L’agilità e la rapidità per noi è sempre stata una leva fondamentale, così come la specializzazione/verticalizzazione di prodotto. E aggiungerei infine la pazienza e perseveranza.
Poi direi di non fermarsi mai e avere sempre un obiettivo sfidante per non smettere di innovare e di crescere: avere dei competitor forti è certamente un grande stimolo. Questa è una filosofia che abbiamo ancora: non accontentarsi mai.
Un’altra cosa che suggerisco è non deviare facilmente dalla propria idea iniziale e vision, se questa è davvero solida e validata dal mercato. .
Ultimo elemento chiave: avere le giuste persone nel team che condividano con te il percorso, intravedano gli step di crescita e abbiamo fiducia nei progetti anche quando le cose non vanno bene. E in questo caso è importante avere un buon network di contatti nel settore a cui far riferimento o da cui attingere.
Sei piemontese e in questi anni Torino sta investendo molto sotto il punto di vista dell’innovazione. Come la stai vedendo cambiare tu da vicino?
Credo che Torino sia una città, come il Piemonte stesso, che vive da sempre di innovazione, pensiamo alla FIAT, alla Olivetti e tantissime aziende in ambito tecnologico ed industriale. È riuscita prima di altre a mettere a terra un tessuto imprenditoriale anche di startup e di fondi di investimento; già nel 2006 l’I3P (l’incubatore del Politecnico di Torino) aveva vinto un premio come migliore incubatore di imprese al mondo. Recentemente è stato creato OGR Tech, uno dei poli tecnologici più importanti in Italia, un hub dedicato all’innovazione, all’accelerazione d’impresa e alla ricerca scientifica, tecnologica e industriale.
C’è davvero tantissima cultura di innovazione e sta crescendo molto il comparto digitale, non solo quello meccanico. Il fatto che Torino sarà il polo italiano di intelligenza artificiale possa stimolare la nascita di nuove startup in questo ambito e portare qui rinnovate competenze.
La difficoltà che vedo, però, è la capacità di fare il salto al di fuori del Piemonte. C’è un ottimo tessuto imprenditoriale e di competenze ma minore capacità di valorizzazione rispetto ad altre città. È necessario raccontare e promuovere il buono fatto sul territorio e in questo caso l’essere pacati (come da tradizione piemontese, sabauda) ci penalizza.
Qual è la tua visione di Networking? Hai una storia particolarmente interessante da condividere con noi?
Io sono un po’ allergico al networking estremo e generalista, forse anche perché all’inizio, come ho raccontato, non potevo permettermelo soprattutto per questione di tempo. Però ne riconosco l’importanza e per questo motivo ho provato a crearne uno verticale. Penso nello specifico a quello costruito grazie alla mappatura del mercato “HR Tech”: avevo piacere di circondarmi di persone del settore, condividendo valore, stimoli ed esperienze di reciproco interesse. Questo è un network che ancora oggi sta in piedi in modo autonomo. L’ho lanciato nel 2018 perché in Italia c’era pochissima cultura diffusa sull’HR Tech e su quali fossero le imprese: pensavo fosse importante promuoverlo per far conoscere un settore assolutamente fondamentale per la vita di qualsiasi impresa e ad alto impatto sociale. La finalità era poi quella di creare un’associazione di categoria, con cui lavorare insieme nell’ecosistema con un ritorno positivo sul settore. Sono partito da zero e ho avuto un buon seguito di partecipanti, clienti, partner. Ho visto quanto con poco sforzo si siano create delle serie collaborazioni, operazioni di M&A, assunzioni.
La mia storia è stata fatta di partecipazione a soli network di “sostanza” e non di immagine o fini a se stessi. Questo non vuol dire che non osservo fuori dal mio mondo; la contaminazione la perseguo attraverso l’apprendimento in autonomia, la lettura, ecc.
Per salutarci, ti chiedo un libro che consiglieresti ai non addetti del mestiere per avvicinarsi al mondo Tech.
Per approcciarsi alla creazione di un business digitale mi sento di segnalare il libro di Ash Maurya “Running Lean: Iterate from Plan A to a Plan That Works”: mi è piaciuto perché affronta, in modo semplice, il tema di come avviare da zero un business digitale, come monitorare i principali parametri per verificare che la strada intrapresa sia giusta e come aggiustare il tiro.
Personalmente ho letto molti libri che hanno toccato aspetti diversi: dai percorsi di imprenditori come Steve Jobs e Adriano Olivetti a testi sul Brand Positioning, sul Marketing, sul Growth Hacking, sulla gestione del Personale, ecc.. E quindi consiglio apertura a stimoli provenienti da ambiti molto diversificati.
Foto di Mahdis Mousavi su Unsplash