Marzo 31, 2022

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“Se le tue azioni ispirano gli altri a sognare di più, imparare di più, fare di più e diventare di più, sei un leader.”

Parto con la citazione di John Quincy Adams per evidenziare da subito l’obiettivo con cui scelgo di ospitare Professionisti: condividere la loro esperienza, fonte di ispirazione, di valore per chi cerca stimoli per apprendere, sognare e fare di più. Coinvolgo persone che ritengo essere leader di se stesse prima di tutto, ovvero chi fa accadere le cose, a partire dal proprio successo (che per me è il raggiungimento dei propri obiettivi professionali, ben definiti) e che non aspetta l’opportunità ma la costruisce.

Per questa nuova intervista ho pensato di coinvolgere Giuseppe Laregina, Shareholder, Emeritus VP Sales & Trade Marketing, Happy Husband and Proud Father. Progetto “Giovani senza Capo”. Startup Mentor presso VeniSIAccelerator

Ciao Giuseppe, cercandoti in rete possiamo sapere che hai oltre 30 anni di esperienza in ambito commerciale in Aziende del settore alimentare (Nestlé, Caffarel, Lindt) e hai ricoperto ruoli di responsabilità nelle Funzioni Marketing, Trade Marketing e Vendite, sia in Italia che all’estero. Cosa puoi aggiungere con un tweet e con un’immagine metaforica per raccontarci qualcosa in più di te?

Mi definisco un “Aspirante Vecchia Cariatide”. Marito felice di Elena ed orgoglioso padre di Giulia e Chiara. Se dovessi scegliere una frase per raffigurare il mio approccio alla vita utilizzerei le parole di Jacques Prevért: “Bisognerebbe tentare di essere felici, non fosse altro per dare l’esempio”.
Sono cresciuto in una casa popolare, erano più le cose che mi mancavano di quelle che avevo, ma ho un meraviglioso ricordo della mia infanzia. Considero un vantaggio sapere cosa significa stare tra gli ultimi. Capisci più velocemente come sintonizzarti con chi ti sta di fronte, chiunque sia questa persona, e sviluppi una naturale e necessaria attitudine al problem solving.

Ti propongo un piccolo esercizio: disegnare la mappa dei puntini che ti hanno portato a ricoprire il ruolo di oggi, evidenziando le tappe centrali, considerando anche gli studi.

Scuola, Sport e Lavoro mi hanno accompagnato nel distribuire, tipo Pollicino, i puntini della mia vita. Della scuola conservo un meraviglioso ricordo della mia maestra delle elementari. Una seconda mamma per me, è mancata un paio di anni fa, ma ogni volta che la incontravo mi sentivo sempre il suo allievo. Ho sempre provato un enorme senso di gratitudine per chi mi ha fatto innamorare dei libri e della magia della lettura. Poi parecchia noia. Ho incontrato tanti insegnanti che trasmettevano nozionismo senza passione, osteggiavano il pensiero critico e vivevano lo studente come un male necessario. Per fortuna durante tutti gli anni delle scuole superiori ho giocato nel settore giovanile di una squadra di calcio professionistica. Un impegno faticoso, ma una grande palestra di vita. Lo sport, se praticato con impegno, ti insegna il rispetto per il tuo avversario, il senso del giocare di squadra, l’importanza delle regole, la responsabilità che deriva dal cercare di non commettere errori per non penalizzare i tuoi compagni… E poi il lavoro, con una grande fortuna: due anni trascorsi da giovanissimo con una persona di grande spessore professionale e personale come Nando Pagnoncelli. Poi 18 anni in Nestlé circondato da tantissimi colleghi e colleghe capaci di costruire un ambiente sano e di capi che si sono dimostrati dei buonissimi maestri e che hanno accompagnato la mia crescita di essere umano.

Chi sono stati i tuoi “maestri”?

Se dovessi metterli in fila in ordine cronologico: i miei genitori, due persone semplicissime che mi hanno trasmesso valori forti e profondi, la mia maestra delle elementari, Nando Pagnoncelli da cui ho imparato l’importanza dei fatti e la correttezza nei comportamenti ed i miei Capi di Nestlé. Cito la prima di una lunga serie (Teresa Sacco) da cui ho appreso, tra una tirata di orecchie e l’altra, l’importanza della cura maniacale dei dettagli nel lavoro. Ho avuto la fortuna di incontrare tante persone che mi hanno regalato il loro tempo per aiutarmi a crescere come professionista, ma, cosa ancora più importante, come persona.

A loro aggiungo Alberto Bucci. Un amico, un secondo padre ed un vero mentore per me. Un gigante dello sport, ma soprattutto della vita. Da lui ho imparato che col solo talento, e senza applicazione, non si va lontano.

E’ molto importante evitare di sprecare il proprio talento. Ricordo una frase del Professor Nikolic, grande allenatore di basket: “Tu sei come mucca di Erzegovina: prima fare tanto buon latte e poi dà calcio al secchio”.
In aggiunta ai buoni anche i “cattivi da maestri” ci danno una mano a diventare la versione migliore di noi stessi. Da ognuno di loro ho imparato quello che non volevo diventare, e di questo li ringrazio.

Un bravo capo è…Ti va di darci la tua opinione?

Una persona che ha ben chiaro che l’essenza della leadership consiste nel prendersi cura degli altri. Che sa delegare senza soffocare. Un ascoltatore attivo, capace di cogliere i segnali deboli del suo team, abile nello svolgere il ruolo di coach, che non usa gli altri come un trampolino per innalzare il suo Ego e che è quotidianamente in grado di trasferire l’Etica dei Comportamenti alle persone di un Team. Un esempio del praticare concetto di “walk the talk”.

Da maggio 2020 dedichi parte del tuo tempo libero ad un progetto che hai chiamato “Giovani senza Capo” 100% Pro Bono e 100% Pro Giovani. Ti va di raccontarci di più di questa iniziativa?

Tutto è nato a maggio 2020 in pieno lockdown. Era un momento straniante e su LinkedIn sono andato a sbattere contro il post di una ragazza che si scagliava contro il muro di gomma che non permetteva ai giovani della sua generazione di entrare nel mondo del lavoro.
Mi sono rivisto in quell’assalto al sistema. Ero nelle stesse condizioni 35 anni addietro quando scrivevo lettere piene di passione ad Indro Montanelli per contestare il sistema e, questa è la cosa “folle”, lui rispondeva ad un ragazzino come me.
Replicai al post scrivendo come in un mare di problematicità ci sono eccezioni sia a livello di Aziende che di Capi. Sono queste eccezioni che possono costituire quel ponte intergenerazionale che aiuta a scavalcare un muro che pare invalicabile.
Serve un patto e non una guerra tra generazioni per permettere ai giovani di entrare nel castello chiamato lavoro.
Dissi che la chiave di tutto sta nel trovare buoni maestri da cui poter imparare un mestiere, ma per farlo occorre la pazienza di ascoltare, perché un mestiere lo si impara giorno dopo giorno, dicendo grazie a chi ce l’ha insegnato al meglio.
Ho cominciato due anni addietro ed ancora oggi dedico parte del mio tempo libero ai giovani che bussano alla mia porta su LinkedIn.
“Giovani senza Capo” mi ha regalato tantissimo. Quasi tutti i ragazzi e le ragazze con cui ho dialogato hanno intrapreso una nuova carriera lavorativa. Li ho incontrati spesso e volentieri frustrati e smarriti, ed ho avuto la fortuna di condividere con loro la gioia del cambiamento e della crescita. Impagabile!
Un momento davvero toccante, umanamente parlando, è stato quando uno dei ragazzi mi ha raccontato che sarebbe diventato padre. Ho capito che stavo costruendo qualcosa di veramente appagante dal punto di vista della relazione di fiducia tra esseri umani.

Chi secondo te può ambire ad intraprendere una professione commerciale o, posta la domanda in altri termini, come possiamo riconoscere, secondo te, un bravo professionista in questa area? Restando su questo argomento ti chiedo anche come hai visto cambiare negli anni, e con la trasformazione digitale, l’area commerciale e quindi se ci sono cambiamenti che è importante prevedere in termini di competenze.

Una premessa. È dalla notte dei tempi che le Vendite faticano a guadagnarsi la V maiuscola in Azienda quando si tratta di attrarre talenti. Come classifichiamo il dottor Dulcamara, uno dei protagonisti dell’Opera “L’elisir d’amore”? Un truffatore, che, spacciandosi per un medico famoso, vende i suoi prodotti…
Spesso alimentiamo certi stereotipi anche all’interno delle Aziende assegnando patenti di “simpaticoni poco affidabili” ai venditori.
La crescita esponenziale della complessità ed importanza del rapporto Azienda/Cliente dovrebbe aiutarci a capire di quale tipo di risorse umane e di quali competenze necessitiamo. Per gestire la relazione Fornitore/Cliente in maniera professionale come quella tra Azienda e Consumatore sarà sempre più necessario avere persone estremamente preparate sia in ambito Marketing che in ambito Vendite.
Cruciale, nel Largo Consumo, sarà la capacità di costruire carriere con competenze in ogni ruolo commerciale: Marketing, Trade Marketing e Vendite.
Dal punto di vista della costruzione di una carriera in ambito vendite credo servano persone che abbiano come punti di forza caratteristiche quali Ascolto, Delega, Coinvolgimento, Curiosità, Pragmatismo e Visione per Scenari (What if…).
La digitalizzazione dei processi sarà un qualcosa di inarrestabile, ma gli strumenti devono essere funzionali al raggiungimento degli obiettivi ed al miglioramento delle competenze di un abile venditore.
Attenzione all’effetto boomerang, ossia gli strumenti che prendono in ostaggio le persone e azzerano le relazioni e le interconnessioni. Non puoi, ad esempio, limitarti a definire un obiettivo numerico, basterebbe un buon algoritmo di AI, ti devi sforzare di capire cosa muove le persone, perché quasi sempre le motivazioni sono diverse.
Insomma c’è vita al di fuori di uno smartphone, di un tablet o di PowerPoint…

Se una persona all’inizio di una sua nuova esperienza lavorativa in ambito commerciale ti chiedesse dei consigli per viverla al meglio, tu cosa suggeriresti?

I giovani vedono le Vendite come un “sacrificio” da fare, tipo il militare di una volta, per poi, dopo 12/18 mesi di “caserma”, tornare in Sede e riprendere il percorso interrotto.
Ho sempre detto ai giovani che non gestivo un villaggio turistico dove poter di volta in volta scegliere a che gioco giocare (canoa, tennis, paddle che va tanto di moda…), ma una organizzazione fatta di oltre 150 persone e mi servivano persone che avessero voglia di fare carriera nelle Vendite.
Io stesso molti anni fa alla gestione dei prodotti – Marketing – ho preferito quella molto più coinvolgente delle persone – Vendite”.
Tranne rare eccezioni (per fortuna esistono) fatichiamo a dare alle Vendite quella centralità che io cerco di illustrare quando incontro i giovani nelle Università o in Azienda.

Hai a cuore anche il mondo delle Startup e fai infatti attività di Mentoring per loro. Quali sono a tuo avviso, considerando la tua esperienza, i suggerimenti più importanti da condividere con loro?

Prima di tutto mi metto a loro disposizione attraverso una serie di regole comportamentali: ascolto attivo, contatti regolari e non estemporanei tipo pompiere che spegne gli incendi, disponibilità, coinvolgimento, senso di appartenenza al progetto, rispetto da ambo le parti, condivisione delle aspettative reciproche.
Il vantaggio dell’esperienza è dato dal fatto che hai molti errori da condividere con i giovani. Questo  può aiutarli a guardare col giusto distacco alla loro creatura.
Puoi porre quelle domande “cattive” ed “impopolari” che loro, per eccesso di “affetto”, non si stanno facendo.
Consiglio sempre di cercare la “diversità” nella costruzione di un team, con la consapevolezza che diverso da… non implica meglio o peggio di…, ma semplicemente guardare la realtà da differenti punti di vista: un arricchimento.
Spesso combatto contro l’ageismo ed a volte mi do del boomer da solo… Del resto un pizzico di ironia aiuta ad uscire da certi circoli viziosi in cui a volte i progetti si infilano.
Tra l’altro da poco, e dopo una lunga serie di colloqui, sono stato ammesso, in qualità di “Stanford Seed Consultant”, a “The Seed Consulting Program”. Un programma di mentoring per startup in Africa ed India di Stanford Business School. Non vedo l’ora di cominciare.

Qual è la tua visione di Networking? Hai una storia particolarmente interessante da condividere con noi?

Networking è aprirsi agli altri. Dedicare quotidianamente del tempo a mantenere in vita le relazioni. Essere disponibili. Dare una mano alle persone con cui condividi determinati valori e principi comportamentali. Dare ancor prima di ricevere è il primo passo, e lo puoi fare solo se sei disposto a fidarti degli altri.

Un paio di esempi?
Il meraviglioso lavoro di tessitura delle relazioni che ha fatto un caro amico come Franco Zullo, persona di grandissimo spessore umano, grazie al quale ho avuto modo di entrare in contatto con una cintura nera del networking come Gianfranco Minutolo e con tantissimi altri amici ed amiche con cui abbiamo condiviso progetti e passioni prima ed un senso di stima profonda poi.
Un secondo esempio è quanto stiamo creando con Elisabetta Dallavalle, una ex collega di Nestlé, e con altre due donne fantastiche come Viviana Garbagnoli ed Alessandra Rovescalli. Elisabetta mi ha fatto conoscere Alessandra e Viviana. Insieme stiamo lavorando ad un Progetto a cui teniamo tantissimo (per scaramanzia non aggiungo altro…).

In un’altra intervista che hai rilasciato, hai affermato che una delle tue frasi preferite sia: “Viene il momento in cui devi smettere di aspettare l’uomo che vuoi diventare e cominciare a essere l’uomo che vuoi essere.” (Bruce Springsteen) e sostieni che ti piacerebbe vederla applicata al mondo del lavoro. Per salutarci, ti chiedo di segnalarci il tuo libro e la tua canzone preferita, condividendo con noi anche il motivo della scelta.

Parto dal libro, anzi dai libri e ne indico tre, sono tra quelli che consiglio spesso ai giovani quando li incontro in luoghi come la Scuola o le Università:

    1. “I muri che dividono il mondo” di Tim Marshall. Per aiutarli a ragionare considerando il mondo come un luogo senza barriere.
    2. “Qualunque cosa succeda” di Umberto Ambrosoli. Per conoscere la storia di un uomo e della sua coerenza agli ideali di libertà e responsabilità
    3. “Anche per giocare servono le regole” di Gherardo Colombo. Siamo convinti che le regole siano state inventate per limitare la nostra libertà, ma anche per giocare servono le regole e saper giocare rispettandole è cruciale.

Per quel che riguarda la musica due segnalazioni:

  1. “Canzone del maggio” di Fabrizio de André. Perché non sopporto l’ipocrisia e l’indifferenza che troppo spesso dominano nel mondo del lavoro. Chi non si espone, egoisticamente, non vuole il cambiamento, ed ha più colpa di tutti.
  2. “Hurricane” di Bob Dylan. Per un senso di lotta alle ingiustizie. Nel nostro quotidiano rapporto con la leadership dobbiamo non solo essere, ma apparire giusti.

A libri e canzoni vorrei aggiungere un discorso meno conosciuto, ad esempio, di quelli di Steve Jobs, ma a mio modo di vedere molto più vero e potente. Quello tenuto il 21 maggio 2005 da David Foster Wallace ai neolaureati del Kenyon College, poi diventato famoso con il titolo di “This is Water” (Questa è l’acqua). Una riflessione sulla vita adulta, sul destino, sul futuro. https://www.youtube.com/watch?v=EwpxYbO02eg

Foto di James Coleman su Unsplash

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