Febbraio 9, 2022

Categories: News

“Se le tue azioni ispirano gli altri a sognare di più, imparare di più, fare di più e diventare di più, sei un leader.”

Parto con la citazione di John Quincy Adams per evidenziare da subito l’obiettivo con cui scelgo di ospitare Professionisti: condividere la loro esperienza, fonte di ispirazione, di valore per chi cerca stimoli per apprendere, sognare e fare di più. Coinvolgo persone che ritengo essere leader di se stesse prima di tutto, ovvero chi fa accadere le cose, a partire dal proprio successo (che per me è il raggiungimento dei propri obiettivi professionali, ben definiti) e che non aspetta l’opportunità ma la costruisce.

Per questa nuova intervista ho pensato di coinvolgere Gabriele Ghini, Managing Director at Transearch Italy – President ProperDelMare Consulting – University Professor

 

Ciao Gabriele, nella tua biografia come autore di “Diario di un cacciatore di teste” si legge che sei Managing Director di Transearch International Italy, Presidente della ProperDelMare Consulting e Adjunct Professor nel Master Internazionale di Corporate Communication all’Università Cattolica di Milano. Dopo aver ricoperto per 10 anni ruoli di Sales e Marketing presso importanti multinazionali del settore chimico, dal 1989 lavori come Head Hunter per alcune delle più importanti società del settore, specializzato in ricerche di top manager per multinazionali e grandi aziende italiane e straniere. Cosa puoi aggiungere con un tweet e con un’immagine metaforica per raccontarci qualcosa in più di te?

Gabriele Ghini e il suo “diario di cacciatore di teste”

Sono una persona che si annoia facilmente, sempre alla ricerca di novità in tutto quello che fa. Per questo motivo, come metafora, penso ad una sedia perl’elettroshock. In questa immagine forte ci vedo l’adrenalina di cui ho sempre bisogno.
Mi piace conoscere e scoprire il più possibile. E tra le mie recenti scoperte c’è quella di non intervistare persone più giovani di me… Sto per compiere 66 anni ed è normale che ormai io sia il più anziano… Ma almeno penso di poterli ancora batterli a tennis!
Per aggiungere ancora qualcosa di me, posso dire che non soffro lo stress, dormo sereno. Per me, come detto, l’adrenalina è qualcosa non solo positiva ma che ricerco proattivamente.  Oltre a questo, condivido che ho recentemente pubblicato, insieme ad Alessandro Detto e Stefania Micaela Vitulli, un altro libro, “CEO branding nella reputation economy. È un tema che ritengo importante ma ancora, purtroppo, sottovalutato. E dico purtroppo perché la reputazione dei CEO è di fondamentale importanza per attrarre i talenti e consolidare comportamenti all’interno delle aziende; sono sempre di più gli amministratori delegati a diventare pionieri della nuova era e a guidare società e cittadini nel mondo del futuro, contribuendo alla conquista di uno spazio reputazionale solido. Da un’analisi fatta in società italiane quotate, abbiamo riscontrato come l’80% di esse sia ancora guidato da CEO che hanno paura di esporsi, o magari che comprendono l’importanza della reputazione ma che non la misurano, dimostrando così una contraddizione nei fatti. Penso, invece, a Brunello Cucinelli o a Steve Jobs e a quanto, incarnando i valori dell’azienda, abbiano generato – o lo stiano continuando a fare – impatti positivi a 360 gradi, dentro e fuori le organizzazioni, condensando influenza, credibilità e carisma, con intenzioni umane e umanitarie.

Sei un “cacciatore di teste” e, come anticipato, ne hai scritto un libro davvero molto interessante. Se ti chiedessi di spiegare la tua professione ad un bambino cosa diresti?

Ad un bambino direi che tutti i giorni insegno ad un bruco a diventare farfalla. Un’immagine per raccontargli il mio lavoro teso ad identificare la persona giusta, di valore, permettendo un suo salto di qualità.
Pensando a questo, racconto una personale storia, che credo interessante condividere soprattutto per chi si avvicina oggi a questo lavoro. Quando fu istituito il Garante della Privacy, Stefano Rodotà pensò di chiudere la nostra professione di “cacciatori di teste” – Head Hunter – portando avanti la tesi di interferenza nella privacy personale dei candidati al momento della ricerca e del contatto. Ai tempi, io lavoravo per una delle “Big Five” e costituimmo un Comitato per tutelarci con i legali. Un giorno, per caso, in una vacanza in Grecia, trovai nella camera d’albergo la Costituzione Italiana. Rileggendone i primi articoli ebbi un’illuminazione e chiamai il nostro avvocato: a parte l’esplicito articolo “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”, negli articoli successivi si fa riferimento alla possibilità che tutte le persone possano avere l’opportunità di fare il lavoro che desiderano, esprimendo a pieno i propri talenti. Trovai in questi articoli la risposta per far valere la bontà e il valore del nostro lavoro, nel dare opportunità che possono migliorare la vita delle persone, avvicinandole al loro lavoro desiderato e permettendo il già citato salto.
In questi miei anni di lavoro ho vissuto anche le trasformazioni di scenario, tra cui – finalmente, perché noi Head Hunter siamo i primi a volerlo – l’aumento delle donne manager in azienda; quando ho iniziato io il 99% erano uomini…Questo ha comportato modifiche nel nostro modo di agire. Mi spiego meglio: in genere gli uomini tendono ad accettare il cambiamento per una quantità maggiore di soldi, un titolo professionale migliore e più altisonante. Le donne, sono invece spesso più attente anche al contesto, all’ambiente, al Networking. Per esempio, per una grande multinazionale che seguo e che opera in una provincia, ai dirigenti, che devono obbligatoriamente trasferirsi, è inserito per Policy l’affitto di un bilocale. Le donne, però, sono più attente al luogo e alla casa, desiderano vivere nel capoluogo, in una casa più grande, portando con loro spesso la famiglia e questo ha comportato, nella stessa Policy interna, l’inserimento di un tetto di spesa più alto per l’affitto delle donne dirigenti. Attraverso questo racconto, sottolineo le culture e le naturali esigenze diverse che noi, nel nostro lavoro, dobbiamo sempre tener presenti, per riportarle alle Aziende e così garantire l’inserimento e il match migliore. Questo rende la nostra professione sempre molto interessante e sfidante, in costante cambiamento, come le persone.

Qual è il lato più bello e quale il più brutto del tuo mestiere?

Il lato più bello è vedere la soddisfazione, a distanza di anni, dei manager piazzati, sapere che sono cresciuti, magari diventando CEO o avendo ottenuto un grande successo; rivalutare così quella fatica fatta con la dimostrazione di aver compreso l’azienda, con le sue necessità, e quindi di aver fatto un buon lavoro.
Questo, però, ammetto di non saperlo fare quando si tratta di persone che devono lavorare con me. In questi casi, chiedo ai colleghi di vedere e valutare le persone perché credo che sia come il medico che non deve curarsi da solo, o l’avvocato che non deve difendersi da solo.
Rispetto al lato brutto, mi è difficile individuarne uno perché davvero amo il mio lavoro. Posso evidenziare la criticità più nota, cioè quando un candidato – a contratto già firmato – rinuncia alla nuova proposta. Onestamente, però, questo mi irrita solo per poco; sappiamo bene che i cambiamenti non sono facili, mettono paura, e che quindi tale situazione è davvero frequente. Per questo motivo siamo sempre pronti con il secondo , il terzo o con il quarto candidato.

Ti propongo un piccolo esercizio: disegnare la mappa dei puntini che ti hanno portato a ricoprire il ruolo di oggi, evidenziando le tappe centrali, considerando anche gli studi.

Voglia di crescere, curiosità e desiderio di non essere uno specialista penso siano stati i tre elementi che hanno unito i miei puntini. A 66 anni sono ancora convinto che la specializzazione mi annoi; ho cambiato più di 10 lavori nella vita. Oggi si dice che i millennial faranno più di 5 lavori nella loro vita, su questo io, boomer, sono come loro e forse di più. Ogni volta che ho sentito diventare qualcosa un’abitudine, ripetitiva, me ne sono andato perché ho da sempre il desiderio di continuare a crescere attraverso nuovi stimoli.
Ho studiato agraria e ho un dottorato in fitopatologia – lo studio delle malattie delle piante provocate da virus, batteri, insetti, ecc. Con agraria ho appreso la tecnica, nozioni sociologiche, come economiche.
Sono di Forlì e, per non disperdermi nella vita notturna, ho deciso di andare a studiare a Piacenza; volevo finire l’Università velocemente. Mio padre non mi dava dei soldi al mese ma mi dava il corrispettivo del voto in lire: 18, 18.000 lire; 30, 30.000 lire. Questo, a libretto consegnato, senza aggiungere altro: così, rispetto a un piano di studi con 35 esami, ne feci 48…Dovevo sopravvivere…
Dopo la laurea e il dottorato ero molto indeciso sul mio futuro ma non volevo fare l’entomologo, così entrai in un’industria chimica a Forlì. Andai anche a fare consulenze in ambito agrario in Arabia Saudita. Erano anni in cui era facile trovare lavoro, in cui con la conoscenza dell’inglese, come avevo io nel 79, e con un’alta preparazione c’erano poche persone e facilmente potevo cambiare lavoro.
Poi ho cominciato a chiedermi quale potesse consentirmi un migliore impatto nel business e nel mondo e, al momento della vendita dell’azienda – a cui dovevo partecipare e dove io ero International Product Manager – scelsi di entrare in una Startup ed occuparmi di ricerca di personale. Da allora sono sempre rimasto nello stesso settore e continuo a divertirmi.

Stiamo vivendo un periodo molto complesso e forse anche di dura crisi nel mondo del lavoro o magari non per tutti considerando il crescente fenomeno di “grandi dimissioni”. Dal tuo punto di vista, direttamente coinvolto nelle ricerche, come lo vedi: abbiamo più o meno opportunità professionali?

Onestamente io non ho ancora capito questo fenomeno delle grandi dimissioni, credo che riguardi meno le persone con cui io in genere lavoro, gli Executive, i dirigenti.
Non lo comprendo perché mi chiedo come sia possibile pensando che ci sono mutui da pagare, famiglie da mantenere…Come si fa concretamente a lasciare tutto?
Sicuramente ho incontrato manager che mi hanno chiesto di ragionare su un loro bilancio di carriera alla ricerca di nuovi stimoli, ma nessuno di quelli che conosco ha dato le dimissioni o ha cambiato radicalmente la vita senza avere alternative. Ripeto, però, io lavoro con persone che se cambiano perdono davvero tanto. Credo quindi che sia un fenomeno da trattare in base all’età e alle responsabilità.
Per rispondere alle opportunità di lavoro, dico che non so se ci sono più lavori, ma che sicuramente c’è molta più competizione.


Sempre facendo riferimento alla tua esperienza, potendo consigliare settori e/o sbocchi
professionali maggiormente richiesti, cosa suggeriresti?

Riferendomi all’Italia, che conosco, le professioni STEM – Science, Technology, Engineering and Mathematics – sono quelle più ricercate. Il mio consiglio è quindi quello di impegnarsi a fare cose difficili e tenere la passione per la vita personale. Intendo che le organizzazioni che offrono le opportunità più interessanti afferiscono a quelle STEM e qui c’è anche molta meno competizione, ma parliamo anche di aree di specializzazione più complesse, perché non sono alla portata di tutti.
Quindi: fai STEM, impegnati e preparati sulle cose più difficili; solo così si esce dalla competizione. Questo è il mio consiglio. Dove insegno all’Università, suggerisco sempre agli studenti di cercare di differenziarsi, studiare e viaggiare ma per prepararsi al meglio, magari con corsi internazionali, altamente riconosciuti.


Ti sarà successo più e più volte di dover rispondere a persone, anche nel mezzo della loro carriera, alla ricerca di nuovi stimoli o opportunità. Immaginando di parlare con una di queste, qual è un’azione che ritieni davvero utile perseguire per “far accadere” un cambiamento professionale?

Più che un’azione, suggerisco di definire una strategia, avendo chiaro dove si vuole andare e basandosi sul sé autentico, con la consapevolezza di punti di forza e limiti. Perché arriva l’età in cui si prende atto anche delle cose che si possono fare e quelle che invece proprio non si possono fare o non si possono fare al meglio. Quelle lasciale e punta sugli aspetti in cui puoi eccellere.
Insieme alla strategia, il Networking quindi frequentare, avendo chiaro chi sono, le persone alle quali può essere utile ciò che sappiamo fare, il problema che possiamo risolvere per loro.

Da Head Hunter che utilizza molto bene il social LinkedIn, qual è un comportamento che consigli agli utenti di attuare e quale, invece, da evitare pensando all’impatto nel lavoro attuale e/o futuro?

Su LinkedIn ho circa 16.000 collegamenti. Da quando c’è il COVID ho fatto una bella scrematura, ne ho eliminati o bloccati circa 500 tra quelli alle prese con stupide polemiche tra pro e novax senza basarsi su solide conoscenze scientifiche. Da questi atteggiamenti polemici per me è già chiaro che sono persone che non potrei presentare in nessuna azienda.
Suggerisco, invece, di mostrare la propria competenza. Non essere per forza una persona che pubblica frequentemente ma che, quando lo fa, condivide contenuti ben studiati e utili.

Qual è la tua visione di Networking? Hai una storia particolarmente interessante da condividere con noi?

Sempre su LinkedIn ho creato una Community molto bella: “Manager italiani senza frontiere”. Ci sono circa 2.000 persone, Manager italiani che lavorano in tanti paesi del mondo e non hanno nessuna intenzione di rientrare e che interagiscono tra loro ed è molto interessante lo scambio e la condivisione delle loro esperienze.
Ho pensato di creare questo gruppo contro l’opinione comune che pensa sia importante riportare gli italiani nel nostro Paese; io credo che se stanno bene e hanno la loro famiglia e i loro interessi fuori dall’Italia è bene che stiano lì, ma magari permettendo loro una crescita migliore attraverso aziende italiane, che vogliono crescere all’estero. Farli diventare Ambassador, un orgoglio all’estero per le imprese italiane che rappresentano.

Per salutarci, ti chiedo di condividere con noi la tua citazione preferita

“Per ogni problema complesso c’è sempre una soluzione semplice…ed è sbagliata” perché credo che non si possa risolvere nulla con superficialità e che le difficoltà richiedano competenze.
Ne ho anche un’altra: “Il contesto determina il comportamento”. Questa la evidenzio perché le organizzazioni che non definiscono il contesto, studiando premi coerenti, trattamenti specifici per le sue persone, ecc. non possano pretendere comportamenti in linea con quanto desiderano. Ogni persona può avere successo o meno e questo, molto spesso, dipende dal contesto. Ogni contesto può essere un bene o un male per una stessa persona.

Foto di Rostyslav Savchyn su Unsplash

Share it with your friends!