Questa che scrivo non è la storia di chi ce l’ha fatta o di chi ce la sta facendo ma di chi inizia tra disagi, stanchezza e pigrizia. “Tutti siamo partiti da zero”, me lo ha ricordato una persona dopo un allenamento insieme, in gruppo, dove io ho giocato il ruolo dell’ultima arrivata, molto distante dal livello di preparazione di ogni singolo membro.
In ogni passo di questa sfida con me stessa, sto imparando o sistematizzando quello che ho vissuto in altri ambiti della mia vita. C’è chi mi guarda pensando che non ce la posso fare e non crede in me, mentre corre nella sua splendida forma e con tutti quei dettagli tecnici di chi corre forse da sempre e dall’alto della sua esperienza, quell’esperienza che gli ha fatto dimenticare il taglio più importante, quello del coraggio di chi inizia. C’è chi non conoscendomi mi abbraccia metaforicamente con un sorriso di accoglienza, quasi a dirmi “sei una di noi”. Incontro anche chi è alle prime armi come me, o che sempre come me tante volte ha provato e rinunciato, e con loro ci guardiamo empaticamente quasi a chiederci “Ma chi ce lo ha fatto fare?”
Mi sembra di apprendere, a colpi di sudore quanto mai lontani dai soliti contesti aziendali, cose che ho sempre saputo ma che a volte dimentico. Sto toccando ancora una volta con mano che:
- Conta l’allenamento fisico ma a fare la differenza in quel di più è, e sarà sempre, la testa. Dobbiamo scendere a patti con lei ogni minuto per partire, aumentare, non fermarsi, spingerci oltre, non cedere alle circostanze che sono spesso avverse
- I problemi si risolvono stando fuori dal problema. E infatti vedo spesso chi, in quella corsa con sé stesso, racconta quei problemi di tutti noi, con quel sudore di difficoltà della vita, in cui possiamo riconoscerci
- Il risultato vero è garantito solo dalla costanza
- Il bello costa fatica; solo al termine quel “disegno” prende la forma di felicità e di benessere e lascia il passo alla soddisfazione nell’avercela fatta… e quanto costano quei minuti appena si inizia e, ancor di più, quelli finali che sono sempre i più tosti e richiedono una motivazione maggiore per non lasciarsi andare proprio ad un passo dalla meta. Cosa che accade spesso nel lavoro, tralasciando quel dettaglio, quello sprint finale che farebbe davvero la differenza, in balia della stanchezza per il troppo lavoro fatto che annebbia la testa e mina la riuscita dell’intera “partita giocata”
- Il tempo è un concetto relativo che cambia in funzione della nostra volontà. “Non ho tempo, è impossibile”: questo è da sempre l’alibi a cui più facilmente ci lasciamo andare ed è quello che mi sono sempre detta anche io. Poi ho parlato con persone volenterose, molto volenterose, che mi hanno dimostrato che il tempo devi costruirtelo con sacrificio e non solo con organizzazione. Una lezione appresa anche leggendo “Ventuno giorni per rinascere. Il percorso che ringiovanisce corpo e mente”, in cui ho scoperto che rinunciare ad un’ora di sonno, e fare ad esempio attività fisica a prima mattina, diminuisce di molto le possibilità di eventi o imprevisti, che nel corso del giorno possono sopraggiungere e non permetterci di ritagliarci il tempo per la cura di noi stessi
- Da soli si può fare molto ma con gli altri ci si supera. L’osservazione di tutti quelli più bravi che sembrano fare chilometri come fossero metri, come mi accadeva mettendo i primi passi in azienda, mi ricorda quanto fossi convinta che tutti fossero insuperabili, sensazione che è naturale provare agli esordi, senza esperienza. Nel gruppo sono lontanissima, mi sembrano tutti fortunatamente così troppo forti per me. Fortunatamente perché grazie a loro ho un obiettivo nel breve e nel lungo periodo: riuscire a stare con loro per più di un giro e arrivare con loro un giorno a sfoggiare la maglia di chi ha fatto il percorso. Tanto ormai sappiamo che il bello sta nel viaggio e non nel successo o medaglia
- C’è un coach che mi ricorda che quello che sono dipende da me e che devo imparare ad ascoltarmi, a partire dal corpo; mi pone degli obiettivi ogni giorno più sfidanti. E anche nel lavoro so bene quanto sia importante averne uno (anzi ben più di uno per avere punti di vista diversi). Non possiamo fare nulla da soli, servono leve per quei momenti di crescita più difficile. Ho sempre apprezzato chi mi ha riconosciuto la bravura ma la differenza nella mia carriera l’ha fatta chi mi ha consentito di vedere le mie aree di miglioramento e chi mi ha spinto a fare qualcosa in modo diverso o osando di più
- La tecnologia può davvero, nel nostro quotidiano, efficientare le nostre attività. Ho App che mi permettono di vedere i miei avanzamenti e che mi ricordano i miei piani di allenamento, motivandomi a farlo
- Attraverso i social, possiamo farci ispirare da amici e/o professionisti che condividono la passione per lo sport. E anche qui riscopro l’importanza dei riferimenti e dell’ispirazione.
Io sono nel mio punto zero, sono quella che sta ritrovando sé stessa in quei piccoli traguardi fatti di un minuto in più di corsa al giorno e di qualche secondo in meno per raggiungere lo stesso chilometro. Sto rivivendo la metafora dei miei 12 anni di lavoro in cui mai nulla è stato possibile senza tanto allenamento e senza il desiderio di porsi sempre una piccola sfida in più. Perché, nello sport come nel lavoro, vorremmo tutti alzarci e fare la maratona di New York ma la verità è che per arrivare a fare la più grande delle sfide ci sono prima tanti di quei piccoli alternarsi tra minuti di camminata e di corsa al parco sotto casa, tante cadute, inverni ed estati nelle peggiori delle condizioni. C’è il patto interno del sacrificio con se stessi per rinunciare – con costanza – a qualcosa, come magari “un semplice dolce far niente”; c’è l’ambizione di raggiungere gli altri, quelli che lo fanno da sempre. E c’è la consapevolezza che non tutti riescono ma che si può contare sulla volontà di farcela alla meglio rispetto a noi stessi, partendo dalle nostre condizioni individuali.
Scrivo dal mio punto zero, per ricordare a me stessa che non si è produttivi attaccati ossessivamente all’obiettivo del lavoro ma se si sta bene con sé stessi, se la testa è scarica e pulita, se ci si muove, si va fuori e anche se ci si annoia. Perché è necessario anche il tempo di pausa fintamente inutile.
Dicono che la corsa possa diventare una droga, qualcosa di cui, quando arrivi ad un certo punto, non puoi più farne a meno. Su questo sono davvero troppo lontana per sostenerlo con credibilità, sono ancora nella fase in cui mi devo forzare per farla diventare un’abitudine, consapevole che dopo l’inizio quello che conta davvero è il perseverare e so bene quanto questa sia ora una sfida tosta.
Ma intanto posso dire che questo articolo è nato da una corsa, in quel flusso di creatività e liberazione che si prova già dalle prime volte, come le mie, dello zero. È nato correndo, lasciando la mente ascoltare il testo del mio cantante preferito con cui chiudo questa mia condivisione più personale del solito:
“Per ogni ora passata in campo
E non ti sporchi neanche la maglietta
Ci vuol sudore e un minimo di cuore
Se non vuoi lo zero a zero
Per ogni passo strisciato, stanco
E, nel frattempo, tutto il resto è fretta
E la scelta è o resti fuori
O corri per davvero
C’è chi corre e chi fa correre Save
E c’è chi non lo sa
Io so solo che, io so solo che
Quando tocca a te
Tocca a te”