“Se le tue azioni ispirano gli altri a sognare di più, imparare di più, fare di più e diventare di più, sei un leader.”
Parto con la citazione di John Quincy Adams per evidenziare da subito l’obiettivo con cui scelgo di ospitare Professionisti: condividere la loro esperienza, fonte di ispirazione, di valore per chi cerca stimoli per apprendere, sognare e fare di più. Coinvolgo persone che ritengo essere leader di se stesse prima di tutto, ovvero chi fa accadere le cose, a partire dal proprio successo (che per me è il raggiungimento dei propri obiettivi professionali, ben definiti) e che non aspetta l’opportunità ma la costruisce.
Per questa nuova intervista ho pensato di coinvolgere Silvia Salis, Vicepresidente CONI
Ciao Silvia, per prima cosa ti chiedo di presentarti con un’immagine
Mi sento un libro che si sta scrivendo, a volte aggiungo molte pagine in poco tempo, altre ho bisogno di rileggere i capitoli precedenti per capire dove andare e cosa decidere per far evolvere il racconto 🙂
Dopo 15 anni da atleta professionista, con due partecipazioni alle Olimpiadi, a causa di un infortunio, hai smesso e hai deciso di impegnarti nella politica sportiva fino a ricoprire l’attuale ruolo di Vicepresidente del Coni. Hai trasformato un problema in una solida carriera manageriale in ascesa. Con un tweet, cosa ci dici ancora di te?
Sono una ex atleta olimpionica, molto pragmatica, che faceva uno sport individuale ma che ha sempre creduto fortemente che l’unico modo per far funzionare i progetti, cercare nuove vie, fare grandi cose per realizzare i propri sogni e quelli degli altri, fosse fare squadra.
Ti propongo un piccolo esercizio: disegnare la mappa dei puntini che ti hanno portato a ricoprire il ruolo di oggi, evidenziando le tappe centrali, considerando anche gli studi.
Il primo è quando mio padre ha deciso di andare a lavorare come custode per un campo di atletica, poi l’inevitabile inizio come piccola atleta a sei anni; il cambio dal salto in lungo al lancio del martello; l’ingresso in Nazionale, le Olimpiadi, l’infortunio; le lezioni in FIDAL e quelle al CONI; la laurea in Scienze Politiche con una tesi sulle federazioni sportive; tanti progetti, molte rivoluzioni personali e lavorative; le ultime elezioni e la nomina a Vicepresidente.
Pensi di aver portato qualcosa nel lavoro quotidiano dalla tua iniziale attività agonistica con il martello?
Credo di aver fatto mia la capacità di stringere i denti oggi per il raggiungimento di un obiettivo lontano. Questo mi ha insegnato l’atletica: programmare e passare oltre le giornate e i periodi no, sapendo di avere l’ambizione di un traguardo più grande.
Quali obiettivi ti sei prefissata nel tuo ruolo di Vicepresidente del CONI?
Saranno quattro anni lunghi… Gli obiettivi che ho sono sicuramente di evolvermi come rappresentante della politica sportiva del nostro Paese, di portare la mia esperienza sul campo nel Comitato Olimpico in tutte le attività di cui mi occupo.
Mi piacerebbe che si risolvesse il problema delle donne e, nello specifico della maternità, nello sport. Nel 2018 è già stato fatto un passo, con la creazione del fondo al quale ho partecipato con il governo come commissione atleti del CONI, ma c’è ancora molto lavoro da fare…
Ci tengo ad impegnarmi sul tema del professionismo sportivo in Italia, quindi degli atleti – donne e uomini – che dedicano la propria vita allo sport ma che non hanno accesso alle garanzie assicurative e contributive in quanto ritenuti dilettanti.
Più in generale, mi sta a cuore, ovviamente, la possibilità di collaborare con il Comitato Olimpico, affianco al Presidente Malagò, per risolvere le situazioni pendenti, che si sono venute a creare dopo l’avvento della riforma dello sport. Qui molto dipenderà, però, dal rapporto tra il Comitato e la Politica.
Hai vissuto da subito la grande Italia delle Olimpiadi 2021. Tanti successi che ci hanno dimostrato diversificate forme di valore tra cui: il raggiungimento degli obiettivi nonostante le diverse avversità, la trasformazione della sofferenza in opportunità, la bellezza del viaggio fatto dei singoli passi e non solo dell’esito finale. In sostanza, gli atleti ci hanno insegnato a vedere con occhi nuovi lo sport come metafora più alta della vita, condividendo grandi esempi di umanità. Ti va di aggiungere un tuo commento personale a quanto abbiamo vissuto?
Lo spettacolo che abbiamo visto quest’estate, i successi e la gioia, sono stati incredibili e lo sarebbero stati in qualsiasi periodo della storia sportiva italiana. Credo che aver vissuto questo grande momento azzurro – il campionato europeo di calcio, le olimpiadi, le paralimpiadi e ultima la vittoria delle ragazze nella pallavolo – sia stato fondamentale per l’umore degli italiani, per l’emotività collettiva. Attraverso i loro sorrisi, le loro gioie ed esultanze, i nostri atleti ci hanno trasmesso il senso di ripartenza, il desiderio di pensare che qualcosa di bello può ancora accadere e che – nonostante tutto – possiamo essere di nuovo grandi, possiamo tornare alla vita che ricordiamo e che in questo momento fatichiamo a riprendere.
Ti sei recentemente esposta sull’importanza di cancellare le quota rosa. Ti va di spiegarci meglio la tua visione?
Io non credo che le quota rosa vadano cancellate o riviste; penso che siano state, e tuttora siano, un passaggio importantissimo dell’evoluzione della figura della donna nella società. Uno step inevitabile, che ci ha permesso di essere presenti in situazioni che altrimenti ci sarebbero state precluse. Quindi, fortuna che ci sono e che ci sono state!
Sostengo, però, l’importanza di una progressiva sostituzione del concetto di quota rosa come numero da rispettare, con la valorizzazione del puro merito. Questo è l’obiettivo a cui dovremmo ambire: superare il concetto di uomo e donna nell’assegnazione di un ruolo, a favore della sola valutazione oggettiva delle competenze; puntare sulla forza delle donne, che è tanta, senza ricorrere a nessuna etichetta, parafrasando il pensiero di Marina Abramovic.
Non può esserci produttività di lunga durata dove le persone non stanno bene e il COVID sta facendo concretamente emergere la salute mentale e fisica come priorità nelle organizzazioni. Tu cosa suggerisci a chi gestisce persone in azienda per impegnarsi a garantire il loro benessere? E a tutti noi lavoratori cosa consiglieresti di fare per prenderci cura di noi?
Quello che mi sento di condividere con chi gestisce persone è l’attenzione all’ascolto. Credo sia importante dedicare dei momenti specifici alla sola comprensione dei bisogni e delle dinamiche personali di tutti i membri di un team. La conoscenza delle necessità e dei desiderata personali consente di mettere le persone nelle loro situazioni ideali, quindi di farle rendere di più. Così, quel tempo che all’inizio può apparire non investito in attività utili – grazie a quella maggiore consapevolezza – può comportare un concreto guadagno a lungo termine.
A tutti, invece, consiglio di chiedersi sempre quanto ogni cosa possa farci felice, un lavoro, un avanzamento professionale, un trasferimento; avere l’onestà di dirci ciò che vogliamo davvero e non solo quello che pensiamo sia giusto.
Ritengo che il networking sia di fondamentale importanza nel mondo del lavoro. Tu cosa ne pensi? Hai una storia interessante da raccontarci, un esempio che ci dimostri il valore delle connessioni tra persone?
Lo sport è l’esempio per eccellenza, il settore stesso è networking. Credo possa essere considerato sicuramente come un elemento necessario in tutti gli ambiti, nessuno escluso.
Io, nello specifico, non ho un aneddoto in particolare proprio perché creare, sviluppare contatti e relazioni basate sulla reciprocità è parte integrante, pane quotidiano, di ciò che faccio: incontro tutti giorni persone che sono connesse alle mie attività professionali. Posso raccontarti, però, che a Tokio ho passato momenti di scambio interessante con una donna, che lavora per una grande multinazionale che si occupa di attrezzature sportive, Laura, con la quale mi ha messa in contatto un nostro amico comune, che lavora per la stessa società, ma a Dubai. Lui pensava che avessimo tanti punti di collegamento e dovessimo conoscerci… Aveva ragione. Non so se questo incontro ci porterà a lavorare insieme, ma sono certa di aver conosciuto una persona con un bello spirito, tante idee, una posizione importante. Momenti come questi ne viviamo continuamente nello sport e sono importanti per la crescita di tutti.
Nelle organizzazioni usiamo spesso la metafora sportiva come ispirazione. La tua citazione preferita è scritta all’ingresso del Centre Courte dell’All England Club, dove si gioca il torneo di Wimbledon: “Che tu possa incontrare il trionfo e il disastro e fronteggiare questi due impostori nello stesso modo”. Ti va di salutarci regalandoci un altro aforisma o una storia sportiva che possiamo tenere “a portata di ispirazione” nelle nostre giornate di lavoro?
Vi saluto con questa citazione, che penso sia profondamente connessa sia con il lavoro che con lo sport: “Che tu creda di farcela o non farcela, avrai comunque ragione” (Henry Ford).
ph. Instagram di Silvia Salis (📸 @ilariafochetti).