Luglio 12, 2021

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“Se le tue azioni ispirano gli altri a sognare di più, imparare di più, fare di più e diventare di più, sei un leader.”

Parto con la citazione di John Quincy Adams per evidenziare da subito l’obiettivo con cui scelgo di ospitare Professionisti: condividere la loro esperienza, fonte di ispirazione, di valore per chi cerca stimoli per apprendere, sognare e fare di più. Coinvolgo persone che ritengo essere leader di se stesse prima di tutto, ovvero chi fa accadere le cose, a partire dal proprio successo (che per me è il raggiungimento dei propri obiettivi professionali, ben definiti) e che non aspetta l’opportunità ma la costruisce.

Per questa nuova intervista ho pensato di coinvolgere Annalisa Galardi, Founder di The Bravery Store; Fondazione Adriano Olivetti; Docente di Comunicazione d’Impresa

 

Ciao Annalisa, per prima cosa ti chiedo di presentarti con un’immagine

Scelgo un ponte: mi piace collegare persone e “territori” e la mia vita è sempre sulle frontiere.

Con un tweet, nei vecchi 140 caratteri, cosa ci dici di te?

Storydoer, Border Crosser, trimamma. Aiuto persone e imprese a comunicare e crescere, con coraggio. Amo le persone, i viaggi e il cioccolato.

Condividi con noi – coraggiosamente – qualcosa di te che esca un po’ dagli schemi tradizionali delle presentazioni?

Non mi sento mai abbastanza preparata.
Prima di un’attività d’aula, di un incontro, di una presentazione, mi dispero quasi come prima di ogni esame che ho fatto.
Beh, ora l’ho detto.

Ti occupi di comunicazione da tanti anni. Se ti chiedessi di scriverci una tua sintesi di quello che è accaduto negli ultimi dieci anni cosa diresti? E poi ti chiedo una tua definizione semplice di Storytelling…

Negli ultimi dieci anni mi è accaduto di vivere la trasformazione della comunicazione sia in relazione allo sviluppo del digitale sia in direzione di una sempre maggiore esigenza di autenticità. Mi sono molto divertita a esplorare questo mondo conversazionale e, in particolare, a generare coinvolgimento. Mi interessa poco la comunicazione come belletto e cerco sempre situazioni in cui ci sia coerenza tra quello che si dice e quello che si fa. Per questo mi piace lo storydoing: le belle storie che si fanno azione e cambiano la vita delle persone.
La più bella definizione di storytelling, per me, è quella di Alessandro Baricco: «Sfilate dalla realtà i fatti. Quello che resta è storytelling.» Io, un po’ più da massaia, amo dire che lo storytelling è l’arte di bruciare gli arrosti: le storie ci portano in un altro mondo e ci fanno perdere di vista il tempo e lo spazio in cui viviamo. Questa è la loro potenza.

Hai fondato in Italia “The Bravery Store”, non a caso, prima parlavo di coraggio. Ci racconti di più e condividi con noi la tua visione di coraggio?

Fondare The Bravery Store in piena pandemia, con un partner che si chiama Contagious la dice già lunga sulla mia visione, no?
A parte gli scherzi, per me il coraggio è l’attitudine a esplorare il possibile, il gusto per avventurarsi oltre i confini del già noto, la passione per le contaminazioni. Per questo in The Bravery Store mi occupo di People & Brand e provo a creare connessioni tra HR, Marketing e Comunicazione.
L’etimologia del termine “coraggio” ci ricorda l’importanza di mettere il cuore nelle cose che facciamo, e le neuroscienze ci mostrano come il nostro cervello – in particolare la corteccia subgenuale anteriore – si attivi dinanzi a situazioni che richiedono coraggio fisico o morale.
In ogni epoca, poi, il coraggio assume caratteristiche specifiche. Per questo ho ideato un modello di coraggio che ho presentato nel libro Il coraggio di decidere. Storie di saggezza decisionale, che uscirà a novembre (qui una scheda: https://www.flacoedizioni.com/75-saggezza-decisionale-aziende.html). Qui il tema è affrontato anche dal punto di vista delle organizzazioni e delle condizioni che abilitano l’esercizio del coraggio e il cambiamento.

Adriano Olivetti: da anni segui in diversi modi anche la Fondazione e sei una grande conoscitrice della storia e del pensiero di quest’uomo straordinario che continua ad ispirare le nostre vite e le nostre organizzazioni. Ci dici una cosa che proprio non possiamo non sapere di Adriano e qualcosa che secondo te poco si sa di lui?

Più che di Adriano Olivetti, di cui oggi si parla molto, vorrei dire qualcosa sulla Fondazione Adriano Olivetti. Quando la famiglia l’ha fondata era il 1962; il panorama delle Fondazioni allora non era quello di oggi. C’erano solo la Fondazione Cini e la Fondazione Mazzotta. Destinare una cospicua somma di denaro per “promuovere l’opera culturale e sociale suscitata da Adriano Olivetti” (come cita lo statuto) è stato un atto filantropico importante di cui sono orgogliosa. La mia generazione, che eredita una missione dalla precedente, vive nel contempo il privilegio di una storia che è diventata Patrimonio dell’Umanità e la necessità di sfuggire del tutto al rimpianto di un’epoca ormai passata o alla celebrazione agiografica. Questo è lo spirito con cui, nel mio piccolo, cerco di rispettare il mandato di mia madre, che è stata tra i fondatori, e di guardare con speranza il futuro mantenendo l’indipendenza che la Fondazione ha sempre avuto.

Ti propongo un piccolo esercizio: disegnare la mappa dei puntini che ti hanno portato a ricoprire il ruolo di oggi, evidenziando le tappe centrali, considerando anche gli studi

Un’infanzia serena in Liguria, una Vespa per respirare la libertà, una laurea in Lettere Moderne e un dottorato in Rappresentazioni e Comportamenti Politici per iniziare a fare cose che si capiscono poco (!), l’online dal 1996, l’insegnamento in università, la maternità ripetuta ancora e ancora per comprendere davvero che l’organizzazione e l’amore sono fondamentali, un’esperienza nel Vicino Oriente che i viaggi sono meravigliosi, una malattia di quelle che non si vogliono nemmeno nominare, tante buone letture e tante belle persone intorno.
Questo esercizio fatto d’un fiato mi ha fatta sentire fortunata.

Ritengo che il networking sia di fondamentale importanza nel mondo del lavoro. Tu cosa ne pensi? Hai una storia interessante da raccontarci, un esempio che ci dimostri il valore delle connessioni tra persone?

Concordo con te: il networking è davvero importante. Sono avvantaggiata dal fatto che mi piacciono le relazioni e mi piace ancora di più costruire sulle relazioni. Il networking per me è un’attività spontanea, certamente, però, per ottenere il massimo vantaggio occorre un presidio strategico che nel mio caso è sicuramente migliorabile! La possibilità di costruire reti di connessioni è oggi molto amplificata dagli strumenti digitali ma quest’attività non deve essere considerata come un’attività opportunistica. Ci sarà utile la costruzione intelligente di una rete di valore. Il tuo progetto Galateo LinkedIn, cui sono affezionata anch’io, lo ha evidenziato molto bene.
Il modo in cui io uso LinkedIn non è proprio in linea col suggerimento di molti esperti che ribadiscono l’importanza di scegliere contatti “in target”. Io sono una curiosa e penso che se scegliamo contatti solo simili a noi saremo meno esposti a stimoli e punti di vista differenti. Il solo pensiero mi incupisce…Tendenzialmente se qualcuno bussa alla mia porta, mi incuriosisco e accetto la connessione, salvo poi fare pulizia quando subentrano logiche commerciali ed egoistiche che non portano valore.
Se tu e io ci stiamo intrattenendo in questa conversazione è già frutto di un networking efficace, dal fisico al digitale e ritorno, con la cura e la reciprocità che fanno bene alle relazioni.

Condividi con noi uno spunto per allenare il nostro coraggio?

Come sempre quando si vuole ottenere un miglioramento, consiglio di partire dalla consapevolezza della propria dotazione di coraggio. Può essere utile partire da un modello di riferimento per inquadrare meglio in quale area può essere vantaggioso fare allenamento. È il coraggio di decidere che ti manca o quello di prendere posizione rispetto a temi rilevanti? Fai fatica a includere o a delegare? Questi sono solo esempi, ovviamente.

Ti chiedo di salutarci con la tua citazione preferita

“Spesso il termine utopia è la maniera più comoda per liquidare quello che non si ha voglia, capacità o coraggio di fare. Un sogno sembra un sogno fino a quando non si comincia a lavorarci. E allora può diventare qualcosa di infinitamente più grande.” (Adriano Olivetti)

E io così, a sorpresa per Annalisa, chiudo questa intervista con un ringraziamento speciale a lei, una grande mentor che tanto mi ha insegnato in questi anni, facendomi appassionare al mondo della comunicazione, in un momento professionale in cui pensavo che non mi servisse e che stessi “perdendo” tempo e opportunità. Quella comunicazione che a distanza di anni, non solo mi è tornata utile, ma è stata decisiva nel mio percorso in Risorse Umane dal taglio volutamente innovativo per essere al passo con la Digital (ormai Mindset) Transformation.

In ogni progetto complesso ho in testa la sua voce che mi dice: “Ce la stiamo già facendo”, una frase così semplice e di cui ne ho compreso il tangibile potere magico. A voi che leggete suggerisco di ripeterla al posto di “Ce la faremo”; sembra poco e invece è un grande esercizio utile a cambiare approccio verso le difficoltà.

Foto di Modestas Urbonas su Unsplash

Annalisa Garaldi

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